Chiesa
La meditazione di Sabino Chialà, priore di Bose, alla terza Assemblea sinodale
Abbiamo appena riascoltato la conclusione di quella che possiamo considerare la prima esperienza sinodale cristiana. Un racconto al quale è bene tornare, ogni volta che la Chiesa s’interroga sul proprio cammino. Non per celebrare il mito delle origini, ma per orientare i passi nell’oggi. L’autore degli Atti, infatti, qui non ci consegna una semplice pagina di storia della Chiesa, ma una visione… un sogno di Chiesa. Ci parla dei primi passi di quegli uomini e donne che nella Camera altra, a Gerusalemme, avevano ricevuto il dono dello Spirito Santo, e con esso la forza di testimoniare con la vita la resurrezione del Signore Gesù. E i passi, quando sono veri, trasformano. Non si può camminare restando gli stessi. Perché, camminando, si incontrano volti nuovi, e con essi domande di senso e sfide inattese, e dunque s’impongono scelte… Scelte che non tradiscono ma approfondiscono il “deposito della fede”, che aiutano a comprendere meglio e a rimanere fedeli al Vangelo di Gesù Cristo. Gli Atti degli Apostoli sono infatti il libro della “creatività” e delle “scelte coraggiose”, per riprendere due espressioni note: la prima di Papa Francesco e la seconda di Papa Leone. Gli Undici trovano un modo per riportare a pienezza il collegio apostolico, con la scelta di Mattia; poco oltre s’inventano un nuovo ministero con l’istituzione dei diaconi; Filippo ha il coraggio di integrare il marginale, escluso dal tempio (l’eunuco), e si potrebbe continuare. E qui, proprio al centro del libro, abbiamo la più coraggiosa delle scelte: allargare i confini della comunità credente a quanti non appartenevano al popolo eletto, senza imporre loro un peso eccessivo. Se oggi molti di noi sono qui, è anche grazie a quel coraggio. Non facile: ricordiamo la resistenza di Pietro a entrare nella casa di Cornelio! (cf. At 10) Il coraggio di pensare, che credo sia il primo messaggio che questo testo ci consegna. Dinanzi al nuovo che avanza, gli anziani di Gerusalemme e gli altri fratelli non fuggono impauriti, ma si radunano, riflettono, pensano… Quanto bisogno abbiamo oggi di una Chiesa che non abbia paura di pensare! Da questa vicenda paradigmatica raccontata da Luca vorrei ora cogliere brevemente tre aspetti, che possano aiutarci a rileggere ciò che abbiamo vissuto nell’esperienza sinodale, e quello che ora è davanti a noi come compito e missione. Il soggetto del discernimento Nei versetti precedenti a quelli che abbiamo ascoltato, Luca ci fa entrare nella scena riportando le voci che vi si intrecciano: quelle di Paolo e Barnaba, che hanno conosciuto i pagani venuti alla fede e ne trasmettono con entusiasmo l’esperienza (15,4); quelle dei farisei, anch’essi credenti in Gesù, che ritengono importante non perdere il legame con le Legge di Mosè (15,5). E poi quella di Pietro, che racconta il suo incontro con i pagani (15,7-12), e di Giacomo, che richiama ancora la Scrittura (15,13-21). L’intreccio è significativo, perché vi si alternano quelle che possiamo considerare le due fonti di ogni discernimento: la realtà, i fatti, i volti concreti… e poi la Scrittura, la testimonianza della Parola di Dio. Ci sono i fatti, le vite reali, con lo spessore concreto delle loro fatiche e gioie. E ci sono le Scritture, che possono dare senso, indirizzo e salvezza a quelle esistenze. La Parola è così lampada per orientarsi nel cammino, mentre i volti concreti aiutano a comprendere meglio il significato profondo delle Scritture. Viene poi il momento di decidere e mettere in chiaro i percorsi concreti. I fratelli di Gerusalemme lo fanno, ponendo quel risultato sotto una duplice autorità: “Lo Spirito Santo e noi”. Il primo responsabile delle decisioni è lo Spirito Santo. Sappiamo quanto sia pericoloso pretendere di parlare a nome dello Spirito! Ma quando ci si dispone ad un ascolto autentico, coraggioso e fedele, della realtà e delle Scritture, lo Spirito agisce! C’è poi il “noi” ecclesiale! Un noi variopinto, che non trascura nessuna voce, dove ciascuno esercita la propria “autorità” (cf. Mc 13,34): laici e ministri ordinati, donne e uomini, giovani e anziani. Nell’intima convinzione che l’autorità (exousia) appartiene al Signore: “A me è stata data ogni autorità… voi andate”, dirà il Risorto ai suoi, mandandoli in missione (Mt 28,18). Tutti servi dell’unica Parola, ciascuno secondo il dono di grazia ricevuto e custodito. Nessun potere da esercitare e spartire, ma una Parola da servire! Il tono delle decisioni La seconda sottolineatura che vorrei proporvi riguarda quello che chiamerei il “tono” con cui le decisioni prese sono espresse: “È parso bene…”. O più letteralmente: “È parso… (edoxen)” (15,28). Un verbo che dice umiltà. È parso… Come a dire: è quello che per ora abbiamo capito o è stato possibile! Di conseguenza non pretende alcun carattere di definitività. Anche noi, in questi anni di cammino sinodale, abbiamo cercato di comprendere. Il risultato ad alcuni sembrerà poco coraggioso, ad altri mancante, e lo è! Eppure è un esito, proposto con umiltà. Un’umiltà non codarda, che non incita alla rassegnazione, ma che chiede di restare aperti ad altri passi. Ci ricorda che altri passi saranno necessari, e noi ci disponiamo a farli, sempre in ascolto dello Spirito e di ciascuna delle altre voci. L’effetto La terza sottolineatura riguarda l’effetto delle decisioni prese. Luca dice che, quando i fratelli di Antiochia ebbero letto la lettera giunta da Gerusalemme, “si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva” (15,31). In greco: epi tē paraklēsei. Il termine paraklesis significa “incoraggiamento”, ma anche “consolazione”; e soprattutto porta in sé l’eco dello Spirito Santo, il Parakletos. Quelle parole “sapevano” di Spirito Santo. Erano parole che portavano consolazione nelle sofferenze e incoraggiamento a vivere… Di questo il nostro mondo ha quanto mai bisogno! Il nostro testo vede la luce in un momento critico, mentre assistiamo, con crescente senso di impotenza, a guerre e ingiustizie che alimentano le guerre: sarà capace di portare lenimento, speranza e incoraggiamento a vivere? Le parole della Chiesa fanno sempre più fatica a trasmettere il gusto del Vangelo specialmente alle nuove generazioni: questo esito del Cammino sinodale sarà capace di avviare un processo di reale rinnovamento della fede? La risposta è nelle parole che dice… Ma anche in quelle con cui lo accompagneremo: se non resterà lettera morta; se i germi che contiene – a volte timidi – saranno accompagnati da voci di credenti coraggiosi. È questo un altro tratto che Luca ci consegna nel suo racconto. Dice che da Gerusalemme scrissero una lettera agli antiocheni, ma decisero che fosse accompagnata dalle parole di due fratelli, che ridicessero a voce quanto era stato scritto. Il Signore conceda a ciascuno di noi di accompagnare queste parole con il calore della sua umanità e con la forza della sua fede in Gesù Cristo, perché siano davvero motivo di consolazione per le donne e gli uomini del nostro tempo. Perché ciascuno sia raggiunto dalla potenza della resurrezione del Signore Gesù.
