Chiesa
Leone XIV: intere popolazioni invocano la pace

“Mostrare che la pace è possibile”, quando “intere popolazioni, schiacciate dal peso della violenza, della fame e della guerra implorano pace”. Lo ha chiesto il Papa, nell’omelia della veglia per il Giubileo della consolazione, in cui ha esortato i responsabili delle nazioni ad ascoltare “il grido di tanti bambini innocenti”. “Il dolore non deve generare violenza, la violenza non è l’ultima parola”. “La Chiesa si inginocchia” davanti alle vittime di abusi
“Come c’è il dolore personale, così, anche ai nostri giorni, esiste il dolore collettivo di intere popolazioni che, schiacciate dal peso della violenza, della fame e della guerra, implorano pace”. Lo ha detto Leone XIV, nell’omelia della veglia del Giubileo della consolazione, presieduta nella basilica di San Pietro. “È un grido immenso, che impegna noi a pregare e agire, perché cessi ogni violenza e chi soffre possa ritrovare serenità”, l’invito del Papa: “E impegna prima di tutto Dio, il cui cuore freme di compassione, a venire nel suo Regno”. “La vera consolazione che dobbiamo essere capaci di trasmettere è quella di mostrare che la pace è possibile, e che germoglia in ognuno di noi se non la soffochiamo”, l’esortazione di Leone:
“I responsabili delle nazioni ascoltino in modo particolare il grido di tanti bambini innocenti, per garantire loro un futuro che li protegga e li consoli”.
“Il dolore non deve generare violenza; la violenza non è l’ultima parola, perché viene vinta dall’amore che sa perdonare”, l’appello dell’omelia, in cui il Papa si è rivolto alle vittime di violenza e di abusi.
“Anche a voi, fratelli e sorelle che avete subito l’ingiustizia e la violenza dell’abuso, Maria ripete oggi: ‘Io sono tua madre’”,
le sue parole: “E il Signore, nel segreto del cuore, vi dice: ‘Tu sei mio figlio, tu sei mia figlia’. Nessuno può togliere questo dono personale offerto a ciascuno”.
“E la Chiesa, di cui alcuni membri purtroppo vi hanno ferito, oggi si inginocchia insieme a voi davanti alla Madre”,
il mea culpa di Leone XIV: “Che tutti possiamo imparare da lei a custodire i più piccoli e fragili con tenerezza! Che impariamo ad ascoltare le vostre ferite, a camminare insieme. Che possiamo ricevere da Maria Addolorata la forza di riconoscere che la vita non è definita solo dal male patito, ma dall’amore di Dio che mai ci abbandona e che guida tutta la Chiesa”.
“Quanti amiamo e ci sono stati strappati da sorella morte non vanno perduti e non spariscono nel nulla”,
ha garantito il Papa: “La loro vita appartiene al Signore che, come Buon Pastore, li abbraccia e li tiene stretti a sé, e ce li restituirà un giorno perché possiamo godere una felicità eterna e condivisa”.
“Condividere la consolazione di Dio con tanti fratelli e sorelle che vivono situazioni di debolezza, di tristezza, di dolore”, l’imperativo di esordio dell’omelia. “Nel momento del buio, anche contro ogni evidenza, Dio non ci lascia soli; anzi, proprio in questi frangenti siamo chiamati più che mai a sperare nella sua vicinanza di Salvatore che non abbandona mai”, ha assicurato Leone XIV: “Cerchiamo chi ci consoli e spesso non lo troviamo. Talvolta ci diventa persino insopportabile la voce di quanti, con sincerità, intendono partecipare al nostro dolore”. A volte nella vita, “le parole non servono e diventano quasi superflue”, e come diceva Papa Francesco di Maria Maddalena, “gli occhiali per vedere Gesù sono le lacrime”.
“Non bisogna vergognarsi di piangere”,
il monito: “È un modo per esprimere la nostra tristezza e il bisogno di un mondo nuovo; è un linguaggio che parla della nostra umanità debole e messa alla prova, ma chiamata alla gioia”. “Le lacrime sono un linguaggio che esprime sentimenti profondi del cuore ferito”, ha osservato Leone IV: “Le lacrime sono un grido muto che implora compassione e conforto. Ma prima ancora sono liberazione e purificazione degli occhi, del sentire, del pensare”. “Il passaggio dalle domande alla fede è quello a cui ci educa la Sacra Scrittura”, ha spiegato Prevost sulla scorta di Sant’Agostino: “Vi sono domande che ci ripiegano su noi stessi e ci dividono interiormente e dalla realtà. Vi sono pensieri da cui non può nascere nulla. Se ci isolano e ci disperano, umiliano anche l’intelligenza. Meglio, come nei Salmi, che la domanda sia protesta, lamento, invocazione di quella giustizia e di quella pace che Dio ci ha promesso. Allora gettiamo un ponte verso il cielo, anche quando sembra muto”.
“Dove profondo è il dolore, ancora più forte dev’essere la speranza che nasce dalla comunione. E questa speranza non delude”,
l’indicazione di rotta del Papa. “Nella Chiesa cerchiamo il cielo aperto, che è Gesù, il ponte di Dio verso di noi”, ha detto Leone XIV: “Dove c’è il male, là dobbiamo ricercare il conforto e la consolazione che lo vincono e non gli danno tregua”, la proposta: “Nella Chiesa significa: mai da soli. Poggiare il capo su una spalla che ti consola, che piange con te e ti dà forza, è una medicina di cui nessuno può privarsi perché è il segno dell’amore”.