La tradizione del Pallio nel docufilm Agnus Dei realizzato dal regista Massimiliano Camaiti

Abbandonare i ritmi frenetici della modernità e vivere momenti di silenzio e di calma è il segreto della pellicola

Le tradizioni di un’istituzione come la Chiesa hanno come scopo principale la diffusione della Parola del Vangelo, che è parola di vita, verbo incarnato, dono d’amore. Tra di esse merita una particolare menzione la storia di un paramento liturgico che, ormai da secoli, rappresenta una consuetudine in quanto conferisce una valore simbolico, oltre che regale, al capo della Chiesa: il “Palio” o “Pallio”. Poco più che una striscia di stoffa di lana bianca avvolta sulle spalle, il pallium o mantello era in origine indossato dai filosofi prima di diventare un oggetto, con cui l’arte paleocristiana iniziò a raffigurare Gesù e gli apostoli. L’uso di questo drappo servì per segnalare il distacco dal mondo terreno del Salvatore e dei suoi discepoli. La Chiesa cattolica assimilò pian piano quest’usanza, similmente all’impiego dell’omoforio per i cattolici orientali di rito bizantino. Donato dal Pontefice ai vescovi metropoliti il 29 giugno, il pallio simboleggia la pecorella smarrita che il buon pastore cerca, salva e pone sulle spalle, e rimanda all’agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità. La comunità monastica di Santa Cecilia in Trastevere a Roma ha continuato nel tempo la tradizione di tessere e confezionare i palli, tradizione che ora rivive nel documentario a cura di Massimiliano Camaiti intitolato Agnus Dei. Prodotto da Olivia Musini e Giovanna Nicolai per Cinemaundici, la pellicola è ambientata tra le mura del monastero di Santa Cecilia dove ogni anno, in occasione della festa di Sant’Agnese il 21 gennaio, si rinnova la prassi di ornare e benedire due agnelli, affidati poi alle cure di una delle monache di clausura. La protagonista del docufilm è la 79enne suor Vincenza, originaria della Puglia, vedova, madre e nonna dall’indole pacata e carismatica. Decide di ritirarsi in convento in seguito alla morte del marito, trascorrendo il tempo ad accudire e a nutrire, con amore materno, i due agnellini che le sono stati affidati, senza però sacrificare gli affetti familiari che si porta dentro, a testimonianza del fatto che la clausura non è una rinuncia al bene dei propri cari ma un nuovo modo di vivere. Il regista si è basato molto su un aspetto decisivo: il rifiuto del mondo esterno da parte della suora e l’inizio della vita conventuale, che è un’apertura ad una fede superiore. Il 2025 è un anno particolare perché, mentre le monache sono intente nel lavoro di tessitura, papa Francesco si ammala. Continuano, tuttavia, a svolgere le loro mansioni quotidiane, tra preghiere, canti, preparazione del cibo e cura del giardino. La morte di Bergoglio le intristisce molto ma vivono, con profonda commozione, la cerimonia durante la quale Leone XIV dona i palli da loro realizzati agli arcivescovi il 29 giugno. L’idea di girare questo documentario venne a Camaiti in seguito ad una passeggiata a Trastevere, nei pressi del convento di Santa Cecilia. In quell’occasione assistette alla cerimonia dei due agnellini ricoperti di fiori e riposti in due ceste, che risvegliò in lui il desiderio di approfondire la storia di questi animaletti, dalla nascita alla tosatura fino alla composizione del pallio. Camaiti ha fatto ricorso ad uno stile minimalista per descrivere lo scorrere lento del tempo tra le mura del convento benedettino, che ha avuto il privilegio di visitare fotografando i suoi ambienti classici e sontuosi e i momenti più umili come la mandria e la clausura. Con uno sguardo attento e oggettivo regala al suo pubblico una narrazione mai forzata, analitica e lineare, scevra da pregiudizi e da falsa retorica, accompagnata dalle musiche originali e spirituali di Husk Husk, nella quale si dipana la vita semplice e quieta delle religiose, immerse in un silenzio contemplativo. Ciò che importava al cineasta era comunicare un’esperienza trasformativa capace di far riflettere sulla maternità, sul sacrificio, sul silenzio e sulla spiritualità. Il documentario, inoltre, lascia uno spazio in cui ognuno può osservare e giudicare le cose secondo il suo punto di vista. Vedere degli agnelli strappati ad una madre può essere, per alcuni, un atto violento, per altri può rappresentare la prosecuzione di un’usanza ancestrale.