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Roberto Riccardi. Uno scrittore con un cuore da campione

Intervista a Roberto Riccardi sul suo ultimo libro “Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann inventore delle Paralimpiadi”

In foto: Roberto Riccardi, scrittore

Solo uno scrittore dotato di fine sensibilità e di uno sguardo interiore acuto, attento a non violare la sensibilità del prossimo e che mette sempre al centro la persona, è capace di narrare, con un’eleganza fuori dal comune, una testimonianza di autentica speranza fiorita dal mare nero di un Novecento segnato dal Nazismo; si tratta di un narratore che è stato capace, libro dopo libro, di raccontare con delicatezza lo squarcio esistenziale perpetuato ai danni di una indifesa umanità, sopravvissuta al dramma della Shoah.

E se per caso ci dimentichiamo di chi ha fatto davvero grande l’umanità, per fortuna c’è Roberto Riccardi, che torna a catturare la nostra attenzione grazie alla sua penna indomita, con il suo ultimo libro, tra storia e sport, intitolato Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann inventore delle Paralimpiadi (Giuntina). Riccardi ci consegna, nero su bianco, la storia del medico di Breslavia, ideatore delle Paralimpiadi, in una narrazione che ci tocca perché legata al nome di un italiano illustre, il medico Antonio Maglio.

Ci racconti chi è stato Ludwig Guttmann?
Guttmann, l’inventore delle Paralimpiadi, è stata una persona che ha dedicato la sua esistenza agli altri e, in particolare, a persone svantaggiate verso le quali ha mostrato un amore e un’attenzione che vanno al di là dei compiti di un medico. Ha puntato sin dall’inizio a curare il corpo ma anche la mente e l’anima. Guttmann è anche l’autore di una vera rivolta disarmata, perché nel suo tempo, ai disabili di cui lui si è occupato, veniva attribuita una vita residua breve. Erano tenuti seduti, sdraiati, allettati e sedati in attesa della morte. E questo trattamento, era diffuso in quel momento storico in tutto il mondo, senza pensare alla aberrazione di un progetto di sterminio, ordito dal Terzo Reich come il progetto Eutanasia.

In che cosa consiste la terapia innovativa di Guttmann?
Guttmann rivoluziona il suo tempo, prendendosi cura di chi vive in condizione di disabilità, con una terapia innovativa che prevede la non somministrazione di sedativi: sono persone che vuole mantenere vigili e coscienti, in grado e con la voglia di difendersi. Mai più sdraiati: li fa tenere sollevati e li fa girare ogni due ore, proni su un fianco, supini per evitare le piaghe da decubito. Questa rotazione continua, a intervalli di tempo regolari, preveniva anche le infezioni, contribuiva al miglioramento delle condizioni psicofisiche di chi viveva in condizioni di disabilità, che in questo modo si concentravano con più motivazione nel percorso di ripresa. Guttmann coinvolgeva i suoi pazienti rendendoli parte attiva e, ben presto si rende conto che lo sport era una leva motivazionale straordinaria. Stiamo parlando di giovani, di soldati di guerra; da loro vuole e deve pretendere impegno, volontà e determinazione.

C’è un episodio in particolare che illumina Guttmann sul valore dello sport nelle disabilità?
Se ne accorge quando inizia a lanciare una palla medica, da un letto all’altro, finisce con inventare una sorta di polo in cui i giocatori sono tutti sulla sedia rotelle. E in questo modo, il medico di Breslavia, potenzia le braccia, gli arti ma soprattutto la loro voglia di vivere e di guarire.

Che cosa ha lasciato nel suo cuore la testimonianza di Guttmann?
Guttmann è una persona che non si è fermata mai e che è uscito da una tragedia profonda come la Shoah, alla quale si sottrae fortunosamente: dopo la Notte dei cristalli del novembre del ’38, comprende che non potrà fare più nulla per i suoi pazienti e, in particolare, per gli ebrei; già le leggi razziali lo avevano confinato a esercitare l’attività medica nell’Ospedale israelitico di Breslavia, ma dopo che accoglie le vittime della Notte dei cristalli, gli viene chiesto conto dalla Gestapo e dalle SS di ogni singolo ricovero. In quel frangente capisce che è finita e che non ci sarà più alcuna protezione, alcuna cura per gli ebrei. Così comprende che per lui e per la sua famiglia è tempo di andare nel Regno Unito, cogliendo l’opportunità di un viaggio per scambio scientifico.

Ed è in Inghilterra che sperimenta con più forza la sua terapia?
Esattamente: proprio in Inghilterra si dedica alla sua terapia, che era considerata d’urto perché costava impegno e fatica, di giorno e di notte; sospendere la terapia farmacologica, significava anche imparare a sopportare il dolore fisico e, laddove possibile, intervenire chirurgicamente non soltanto sedando il paziente. Non sempre trova l’appoggio dei collaboratori: in particolare, il suo vice che parla a nome di tutti gli altri gli chiese “che cosa pansi di fare, dove vuoi arrivare: non ti rendi conto che sono solo degli storpi, che sono alla fine della loro vita?”. E lui rispose: “No, loro sono il meglio dell’umanità”. Allora organizza una partita di polo in cui una squadra è fatta di medici e fisioterapisti e, l’altra, è costituita da disabili. La squadra dei medici è convinta di andare alla gara per vincere e, invece, vengono sconfitti. E cambia tutto: i suoi colleghi prendono seriamente il “metodo Guttmann”, che sarà da lì a poco, alla base di tutti i protocolli terapeutici nel Regno Unito.

Il nome di Ludwig Guttmann è legato a quello di Antonio Maglio?
Nel ’48 Guttmann vara, nel cortile di Stoke Mandeville, le prime gare in cui sono protagonisti 14 uomini e due donne. Sceglie una data significativa: la stessa in cui si inaugurano le Olimpiadi di Londra. Inizia a scrivere a colleghi di altri Paesi per avere delegazioni di sportivi con disabilità. Ha già in mente ciò che vuole realizzare: le Paralimpiadi. Fra i primi ad aderire, c’è anche Antonio Maglio, che di è di Bari. Maglio crede quanto Guttmann nello sport come leva per la riabilitazione. Fra i due nasce un’amicizia profonda, che mi è stata raccontata personalmente dalla vedova di Maglio, più giovane di vent’anni: un amore forte al netto della differenza di età. Maglio è inserito nel comitato delle Olimpiadi del ’60: lavorando in tandem con Guttmann, per la prima volta, riescono a portare alla Olimpiadi gli atleti disabili.

Che cosa ha provato nell’intervistare atleti come Bebe Vio?
Nell’ultimo capitolo c’è un’intervista (piena di punti esclamativi!) a Bebe Vio, una giovane solare e determinata sia come atleta sia come studentessa universitaria, che porta avanti molti progetti pensando già al suo futuro post attività agonistica. Pur essendo nata molto dopo Guttmann ha trovato nella motivazione del medico di Breslavia, la sua motivazione per vivere, per gareggiare e per crescere bene. Bebe pensa già a inserirsi nel comitato paralimpico con un sogno ben preciso: cancellarlo per confluire tutti in unico comitato olimpico, affinché gli atleti disabili siano come gli altri e assieme agli altri.

Roberto Riccardi sarà ospite a Villa Rendano, questo pomeriggio alle ore 19:30, per presentarci il libro "Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann inventore delle Paralimpiadi"(Giuntina).  Dialogherà con Anna Cipparrone, direttrice del Museo Multimediale Consentia Itinera.

Roberto Riccardi. Uno scrittore con un cuore da campione
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