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In Sila: alla ricerca dei “patriarchi verdi” e del pino resinoso: tra mito, storia e leggende

L’altipiano silano fu soprannominato selva sacra perché la sua vegetazione nutriva gli armenti della dea Era.

In Sila: alla ricerca dei “patriarchi verdi” e del pino resinoso: tra mito, storia e leggende

Il cuore del Parco Nazionale della Sila è costituito da fitte trame di boschi: un polmone verde, che aiuta la Terra a respirare meglio, nonostante i notevoli “attentati” subiti, nel corso del tempo, da un’eccessiva azione antropica, dalla scarsa sensibilità dell’uomo verso la custodia dell’ambiente o dalle devastazioni causate da guerre o azioni di scellerata piromania. Tra le bellezze che contraddistinguono gli incantevoli boschi che rivestono il “gigante buono calabrese” meritano attenzione gli alberi secolari, i cosiddetti “patriarchi verdi”, garanzia di biodiversità e portatori di un singolare patrimonio genetico: si tratta, infatti, “di colossi vegetali, circondati da muschi, licheni, erbe, felci, arbusti, rampicanti, policromi fiori e da una miriade di animali, e tutti insieme condizionano la vita con la clorofilla, capace di intercettare ed utilizzare l’energia solare per costruire materia vivente”. Legato al fascino degli alberi e dei boschi, vi sono molti miti e leggende: l’Altipiano fu soprannominato “selva sacra”, poiché la sua vegetazione era destinata a nutrire gli armenti della dea Era, la moglie di Zeus. La Sila dominava, e domina tutt’ora, e collegava le vie verso l’area in cui sorgeva l’Heráion Lacinio, tempio a lei dedicato che sorgeva sul promontorio Lacinium (Capo Colonna). La selva silana, sede di numi e di briganti, fu famosa anche per la ricca varietà di miti e leggende miste a fatti storici, che videro protagonisti proprio il legno e gli alberi nostrani: tra le cime elevate e le fertili valli, la Sila presenta paesaggi incantevoli, pascoli popolati da greggi e boscaglie fittissime, vasti altopiani irrigati da limpide sorgenti: “malgrado l’opera disastrosa della scure e del fuoco, vi sono ancora foreste superbe, in cui vegetano rigogliosi, il faggio, il frassino, l’abete, il pino, il tasso, il pioppo, il bosso, la quercia e il castagno”.

Nell’antichità l’immensa selva della Sila fornì una gran quantità di legname da costruzione agli Ateniesi, che ne trassero grossi legni per la loro flotta di trireme: la talassocrazia, il dominio commerciale e militare, dei Greci fu la chiave del loro successo nel Mare Nostrum. Dionisio, tiranno di Siracusa, con il legno silano fece costruire una grande nave, per ricordare quale, tra le colonie che solcavano i mari sicuri della nostra Penisola, era la capitale dei Greci d’Occidente. San Gregorio Magno fece portare a Roma lunghe travi di legno della Sila, per l’edificazione di un luogo di culto dedicato agli apostoli Pietro e Paolo. Gli antichi Brezii erano soliti, prima ancora di Greci e Romani, estrarre dagli annosi pini della Sila, pece bianca e nera, facendone punto di forza di una larga e proficua vendita: si tratta della pingue “odorosa, lucida e tenace, e se ne servivano per trarre l’olio picino per dar nitidezza alla cute, per estrarre i peli del corpo, per otturare vasi. E ancora oggi, gli abitanti dei paesi silani, si servono del pino resinoso per l’illuminazione e percorrono di notte le vie e i sentieri immersi nel buio con tele fumanti in mano”.

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