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E se non fosse tutto vero?

L'informazione nell'epoca dei social network viene spesso tradotta con le parole "fake news". Le bufale invadono il web, trovando man forte in utenti per niente attenti a mantenere pulito l'ambiente  digitale aiutando a diffondere notizie false. Ma la verità esiste ancora e il ruolo del giornalismo è fondamentale

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E se non fosse tutto vero?

Chiamatele bufale, notizie false oppure fake news. Spopolano sul web e inondano i social. Spesso sono facilmente individuabili mentre altre volte richiedono maggiore attenzione per essere smascherate. Tante volte sono solo la punta dell'iceberg rappresentando la necessità dei gruppi umani di sentirsi confortati nei loro intendimenti. Ne abbiamo parlato con due esperti giornalisti, Federico Badaloni e Gigio Rancilio, con i quali abbiamo approfondito alcuni aspetti legati al fenomeno ponendo anche particolare attenzione al ruolo del giornalista e dei mezzi d'informazione "tradizionale".

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INTERVISTA A FEDERICO BADALONI

Fake news, interazioni delle persone sui social network e il ruolo del giornalista. Sono questi alcuni degli argomenti trattati con Federico Badaloni, giornalista responsabile dell’area di architettura dell’informazione e di grafica della divisione digitale dell’ex gruppo editoriale l’Espresso oggi Jedi.
Fake news. Quali sono le notizie false? Perchè ce ne sono così tante in giro sul web?
Ce ne sono tante perché il web non è un posto dove c’è un controllo a monte. Possiamo immaginarlo come una piazza dove ci sono delle persone che si scambiano informazioni tra loro senza alcun controllo. Controllare una notizia è faticoso, è un vero e proprio mestiere: è il mestiere del giornalista. Mentre prima gli unici a diffondere le notizie erano le testate e i giornalisti, ora ognuno può farlo. Basti pensare che è possibile andare gratis in diretta live mondiale grazie ai social. Quindi la diffusione delle notizie coincide o potrebbe coincidere con la produzione orale; questo fa si che ci siano tantissime notizie non verificate in giro semplicemente perché ognuno può pubblicare quello che vuole.
Sono tanti anche i siti che si spacciano per contenitori di notizie buone ingannando i lettori con domini simili a quelli originali. Come contrastarli?
Tanti stanno cercando di contrastare questo fenomeno perché non fa bene nemmeno alle testate giornalistiche. Anche i social non hanno un vantaggio nella circolazione di notizie false tanto che Facebook, ad esempio, ha approntato un decalogo per mettere in guardia gli utenti, mentre si stanno sviluppando dei sistemi per fronteggiare il problema. Si tratta di questione difficile da risolvere, ma è importante mettere tutti nella condizione di capire se si tratta di notizie verificate o espressioni del libero pensiero.
Social, verità e informazione. Com'è cambiata l'informazione negli ultimi anni? È più facile o difficile informarsi?
Per certi versi è più facile. Come disse un ragazzo americano nel corso di una ricerca: se una notizia è importante mi troverà. Per certi versi è più semplice che le notizie ci raggiungano. Da un altro punto di vista non si può dare per scontato che ciò che ci è arrivato sia vero. Questo ovviamente vale anche per il passato dove i regimi fecero un uso strumentale della stampa. Quando ci sono pochi che diffondono il messaggio, l’onere della confutazione spetta a chi riceve il messaggio; però quando i canali sono molti, l’onere si ribalta, e chi promulga il messaggio dovrebbe farsi carico di verificare che quanto scritto sia vero. Ma tutto questo costa fatica e soldi, perciò lo possono fare i gruppi editoriali, mentre il privato cittadino che dice qualcosa su facebook non compie questo lavoro di verifica e non facendolo può amplificare un messaggio che può essere falso. Non vorrei però che si adottasse un’ottica distorta rispetto alle fake news: cioè prima di internet andava tutto bene, poi è nato il web e tutto è andato storto. Questa cosa è una fake news.
Quindi le false notizie non nascono con internet ma nell'era 3.0 generano «visualizzazioni», che a loro volta generano denaro. Esiste un'economia delle notizie false?
Esiste perché esiste un’economia della visibilità perché tanto più una cosa è visibile più si spera colpisca l’attenzione delle persone. In pratica, si tratta dello lo stesso meccanismo della pubblicità tradizionale.
La cosa più difficile da contrastare sembra però quella legata al fatto che è quasi inutile contrastare una bugia con la verità. Le notizie false corrono troppo veloci generando un numero di flussi molto elevato mentre le smentite servono a poco. Un esempio potrebbero essere quello delle elezioni americane dove entrambi i candidati sono stati vittima di numerose fake news.
La bufala ingenera più curiosità. Pensare che la Clinton, ad esempio, in caso di vittoria alla elezioni sarebbe entrata nella Casa Bianca su un elefante è una cosa molto curiosa. Basta poco a far circolare questa voce che, dopo pochissimi passaggi, non avrà più bisogno di citare una fonte ma diventerà "vox populi". il meccanismo si basa sul fatto che quando la vita ha qualcosa di incredibile e paradossale diventa interessante. La verità spesso è banale, noiosa. Ha bisogno di essere studiata. Per capire una bufala invece non c'è bisogno di alcuno sforzo. Abbiamo perso il rispetto per l’esercizio critico.
Altro pericolo dei social è quello di vivere in delle "bolle" dove notizie, amicizie e interessi diventano sempre più parziali perchè affini ai nostri gusti. In pratica, vogliamo leggere solo quello che ci piace, anche se è falso. Quanto incide nella diffusione delle cattive notizie?
Quello che osserviamo è che i gruppi umani all’interno dei social network, così come al di fuori - pensiamo ad un gruppo parrocchiale o di fede calcistica - tendono a narrare a se stessi una realtà sempre in maniera più “forte” con l’intento di rafforzare la propria identità. Questa narrazione rassicurante si nutre di notizie che confermano il modo di vedere le cose di quel gruppo. Così se voglio fare colpo sul gruppo di tifosi della Roma diffonderò la notizia che la Lazio ha fatto investimenti sbagliati per fare in modo di confermarci in quello che già pensiamo. Ora i gruppi umani non hanno più bisogno di vedersi fisicamente nello stesso luogo, ma basta essere connessi. Si tratta di un fenomeno molto studiato che prende il nome di “echo chamber” - camere dell’eco -, e al quale Facebook sta dedicando molti sforzi annunciando la modifica dell’algoritmo attraverso il quale compaiono le notizie sulla nostra bacheca affinché ci consentano di avere uno sguardo sulle cose un po’ diverso da quello a cui saremmo esposti se vedessimo solo quello che ci interessa.
Quindi oltre ai siti specializzati in bufale alcune notizie dientano virali grazie al "lavoro" degli utenti?
In molte occasioni le notizie false vengono fatte nascere e diffuse da istituti che hanno interesse, altre volte, semplicemente, alcuni gruppi umani si ritrovano su certe posizioni. Pensiamo alla questione dei vaccini. Una notizia falsa può partire anche da singoli. Magari una mamma che ha paura degli aghi e delle siringhe decide che i vaccini fanno male. La sua affermazione viene condivisa e diventa virale. Quindi non solo per interesse ma anche perché spesso la verità non è oggettiva e ogni gruppo cerca di dare la sua versione.
Il compito del giornalista è invece quello di verificare scrupolosamente. Cosa che forse non avviene sempre.
Secondo me il giornalismo dovrebbe smetterla di inseguire la quantità e la rapidità per tornare a concentrarsi sulla qualità delle notizie. Pur di essere i primi si danno notizie imprecise. A mio avviso bisogna resistere alla tentazione del facile successo dato dal numero di visualizzazioni. Si possono anche perdere anche 4 o 40 minuti in più per verificare una notizia, arrivando secondo o ultimi, ma abituare i lettori che sul proprio sito si troveranno informazioni di qualità. Dobbiamo fare un servizio di rigore e di disciplina.
Compito che però non è "solo" dei giornalisti. Che ruolo giocano i genitori, gli educatori, gli insegnati?
Tutti, in questo secolo, devono focalizzare la propria energia educativa nel suscitare uno spirito critico nei proprio ragazzi dando loro strumenti concreti insegnando loro come verificare un'informazione online; come andare oltre una voce di wikipedia; come incrociare le fonti non dando nulla per scontato. Altrimenti stiamo creando una società di creduloni. Solo perché qualcosa è stato scritto non vuol dire che sia vero.

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INTERVISTA A GIGIO RANCILIO

Come contrastare le cattive notizie con quelle buone; il lavoro dei media cattolici e la strada che sta prendendo il giornalismo moderno. Ne abbiamo parlato con Gigio Rancilio, giornalista e responsabile social di Avvenire.
Dalle notizie alle fake news…siamo passati nell’epoca della post verità. Cosa significa?
In realtà il termine post verità è stato coniato dall’Oxford Dictionaries. Con questo termine si intende specificare che non crediamo più alla verità ma aduna sua rappresentazione. Potremmo, ad esempio, dire che da qualche anno per quanto concerne il meteo e la temperatura conta più il percepito del reale. Allo steso modo vale per la percezione della verità. Viviamo in un’epoca nella quale si sono moltiplicate le fonti d’informazione e dove per certi motivi si sono anche allineate tra loro. Quindi un post di un giornale o di una persona autorevole vale come quello di un sito che produce bufale o di una persona qualunque che pur non avendo una buona conoscenza dell’argomento interviene su di esso. Questo fa sì che siamo arrivati ad una sorta di relativizzazione. Non esiste una verità ma delle pseudo verità alle quali secondo le convenienze le persone si affidano.
Quindi questo fenomeno viene alimentato dai social dove non solo ci sentiamo dire quello che più ci piace, ma si riesce anche ad amplificare le false notizie.
Partiamo dal fatto che le false notizie ci sono sempre state. Se traduciamo il termine "fake news" con "bugie" possiamo stabilire che esistevano già prima. Solo che fino a poco tempo fa erano confinate in certi giornali e in certi posti: al bar o dal barbierie. Nel momento in cui tutto è diventato spettacolo e bisogna urlare per farsi conoscere, si è capito che si poteva usare la credulità delle persone e le loro emotività per fare soldi. Chi le produce e le rilancia sui social network, più che per motivazioni politiche, ideologiche o culturali lo fa per interessi perchè la produzione di click genera pubblicità che genera guadagno.
Ma si tratta sempre di notizie false?
Spesso si tratta anche di notizie vere, prese dai giornali, modificate però negli argomenti, gonfiate in alcuni aspetti, non spiegate fino in fondo, creando così una rappresentazione di una notizia che serve a far star bene chi quella notizia la vorrebbe sentire già così com’è.
Quindi non vale nemmeno fare una smentita?
Questa è la parte più curiosa. Secondo uno studio dell’università di Lucca, anche quando viene dimostrato che quello in cui stiamo credendo è una bugia, l’80% di queste persone continuerà a credere che sia vera. Questa cosa sottrae forza al lavoro di chi fa informazione. Perché fare informazione corretta è giusto e doveroso, ma dev’essere a conoscenza che nonostante tutto ciò una fetta di persone, soprattutto quelle che si informano attraverso i social, anche davanti all’evidenza dei fatti, crederà a quello che vuole credere.
Quali sono i trucchi per mettersi al riparo dalle notizie false?
La cosa più semplice è vedere da che parte arriva la notizia. Ci sono siti che sembrano simili a quelli veri ma non assolutamente quelli. Sfruttano il fatto che molte persone che navigano sui social non sono abituate a stare nel mondo digitale e perciò cadono nel tranello. Un altro trucco è quello di fare una ricerca dello stesso argomento su altri siti. Prima di condividere e perciò di metterci la faccia, bisognerebbe fermarsi e chiederci se, condividendo quella notizia non sto facendo del male… non sto sporcando l’ambiente. Proviamo ad immaginare il mondo del digitale come ad un parco dove ognuno di noi non raccoglie le cartacce ma continua a sporcare. Non riusciremo più a camminare. Tenere pulito il mondo digitale è compito di tutti.
I social sono spesso il luogo della spensieratezza e dello svago... dove si "abbassa la soglia" di attenzione. Quanto questo aiuta nella diffusione delle fake news?
I social sono il luogo della socializzazione, non sono un mondo a parte. Gli argomenti trattati non sono molto diversi da quelli toccati durante una serata in pizzeria o un pomeriggio al bar. I social sono esattamente il nostro specchio. Si trovano cose importanti come cose becere. Gli studiosi dell’ecosistema digitale dicono che nel momento in cui ciascuno di noi, attraverso il profilo social, sta vedendo troppe schifezze vuol dire che sta sbagliando amicizie e/o sta sbagliando a seguire alcune persone. Dobbiamo noi stessi imparare a discernere e a scegliere le nostre fonti. Dobbiamo essere più bravi a selezionare.
Quello della stampa cattolica è però il compito di annunciare la buona notizia. Quant’è diventato più faticoso il nostro lavoro nell’epoca dei produttori di bufale?
Annunciare la buona notizia è il senso più grande dell’esistenza per un giornalista cattolico e per la stampa cattolica. Buona notizia che è anzitutto la buona verità. Quindi non solo dare la notizia positiva, ma cercare di essere onesti nel raccontare quello che si vede. Da questo punto di vista, le testate cattoliche hanno un compito enorme, importantissimo. Intanto dovremmo essere orgogliosi di avere un ruolo così importante nel mondo dell’informazione proprio perché possiamo permetterci di non dover inseguire like facili o visualizzazioni a tutti i costi. A questo aggiungo che abbiamo il dovere e la fortuna di poterci concentrare sulle cose che contano, sulle cose che sono importanti. Da questo punto di vista possiamo servire nel migliore dei modi la verità e quindi la buona notizia.
Riassumendo, che direzione sta prendendo il giornalismo moderno e i media di informazione?
Questa è un domanda che avrebbe bisogno di convegni per trovare una risposta. Proviamo però a sintetizzare. Il problema è che gli editori stanno tagliando sui giornalisti perché il modello dato da vendite e pubblicità non regge più. Tagliando gli investimenti sui giornalisti si taglia sulla qualità. Le persone sono chiamate a produrre sempre di più e sempre più in fretta. Questo sta impoverendo il giornalismo. Dall’altra parte però il pubblico si sta stufando del giornalismo di basso livello. Il rischio è che nei prossimi anni ci saranno lettori che vorranno leggere contenuti di qualità, ma editori che non saranno più in grado di darli perché avranno tagliato gli investimenti. Dobbiamo sperare che a un certo punto il sistema possa stabilizzarsi su contenuti di qualità magari soddisfacendo piccole nicchie. La gratuità dei contenuti porterà sempre di più a un livello di contenuti bassi. Quelli di qualità dovremmo continuare a pagarli come abbiamo fatto per tanti anni.

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