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In Giordania accoglienza e dialogo per combattere il Daesh

Un Paese strutturalmente debole ma forte di carattere, come testimonia lo spirito con cui sta accogliendo un milione e 400mila rifugiati siriani e iracheni. È la Giordania nelle parole dell'ambasciatore italiano Giovanni Brauzzi che tratteggia un quadro del Regno Hashemita all'interno del complesso scacchiere mediorientale. Un Paese che fa del dialogo e dell'accoglienza i cardini della propria politica. Anche così si combatte Daesh.

In Giordania accoglienza e dialogo per combattere il Daesh

“Un Paese strutturalmente debole ma forte di carattere, come testimonia lo spirito con cui sta accogliendo un milione e 400mila rifugiati siriani e iracheni. Debole perché è il terzo Paese più assetato del mondo, dove per la carenza di acqua ci sono ampie zone desertiche e un’agricoltura lenta a sviluppare. È un Paese che importa il 97% del proprio fabbisogno energetico e nel quale la presenza di tanti profughi e rifugiati aggrava la situazione”. Così Giovanni Brauzzi, ambasciatore di Italia in Giordania, descrive il Regno Hashemita, nel quale opera dal 1 settembre dello scorso anno. E lo ha fatto ad Amman davanti ai vescovi dell’Holy land Coordination, formato da presuli di Usa, Ue, Canada e Sud Africa con l’aggiunta dei rappresentanti del Ccee e della Comece, organismi emanazione delle Conferenze episcopali europee, venuti in Giordania per una visita di solidarietà alla Chiesa locale e ai rifugiati cristiani di Siria e Iraq.

Ambasciatore, la Giordania è sempre più un elemento di equilibrio nel complicato scacchiere mediorientale…
Si tratta di un Paese affidabile e di un interlocutore valido per l’Italia e per molti altri Paesi, non solo Occidentali. La Giordania riesce a parlare con tutti, tranne che col Califfato, con Daesh verso il quale ha un’opposizione fermissima. Parla da Israele, con il quale ha una collaborazione di sicurezza notevole, ai Paesi arabi, da quelli europei agli Usa. Ultimamente è riuscita a facilitare, in maniera equilibrata e discreta, il dialogo tra Russia e Stati Uniti, altamente necessario per creare degli sviluppi in Siria e in altre aree vicine.

Quanto questa capacità di dialogo e la lotta senza quartiere a Daesh espongono il Paese al rischio di fondamentalismo islamico?
Il dialogo rappresenta uno dei cardini del Messaggio di Amman del 2004, un appello alla tolleranza e all’unità nel mondo islamico, in cui si parla chiaramente di inclusività e di accoglienza. Vero è che ci sono delle aree dove un maggiore disagio sociale ha fatto sì che ci sia un numero cospicuo di foreign fighters giordani che combattono in Siria. Il Governo e la Monarchia sono molto determinate nel colpire l’estremismo anche se ciò rende, a volte, molto delicato l’equilibrio tra sicurezza e libertà di espressione. Non di meno va segnalato l’impegno a favore del dialogo interreligioso da parte del Regno Hashemita. Da due anni organizziamo un evento di dialogo interreligioso. Il prossimo è previsto nella primavera di quest’anno qui nella capitale.

La primavera araba non ha interessato la Giordania, sebbene gli echi dalla Tunisia e dall’Egitto sia siano fatti sentire. Come mai?
Il processo di riforma è stato molto più lento e, va detto, guidato dal Governo e dalla Monarchia con tutta la prudenza del caso. E la prudenza si fortifica ulteriormente quando le tensioni interne aumentano.

Di recente ha visitato il campo di Zaatari, dove risiedono circa 80mila rifugiati siriani e dove la Cooperazione italiana è molto attiva…
Ho potuto visitare sia il Poliambulatorio, la struttura sanitaria più grande del campo donata dall’Italia al servizio medico dell’esercito giordano, sia il centro “Oasis” di Unwomen. In questo centro vengono portati avanti progetti volti a migliorare la condizione femminile nel campo. Si tratta di corsi di alfabetizzazione, di lingua inglese e francese, corsi di taglio e cucito e parrucchiere e opportunità di micro-credito volte all’avvio di piccole attività professionali. Tutte le iniziative sono finanziate dalla Cooperazione Italiana, con l’obiettivo di rafforzare le capacità dei rifugiati siriani in Giordania nell’affrontare le conseguenze della forzata migrazione.

Fonte: Sir
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