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Il treno, paradigma di progresso e viaggi

A cento anni dalla Transiberiana.

Il treno, paradigma di progresso e viaggi

E così la più famosa e lunga ferrovia del mondo compie cento anni, un traguardo importante non tanto per l’età avanzata quanto piuttosto per tutto quello che questo autentico sogno su rotaie ha rappresentato nel passato e nell’immaginario collettivo. Da Mosca a Vladivostock, dall’Europa orientale fino all’Asia settentrionale, per quasi diecimila chilometri un lungo itinerario di emozioni, storia e paesaggi. La ferrovia e il treno hanno sempre rappresentato, da quel 1829, quando Robert Stephenson lanciò il suo Rocket nelle campagne della Londra di Adam Smith, il simbolo terreno e tangibile del progresso, dell’industrializzazione e del viaggio. Non meno delle fabbriche anche il mondo dell’arte salutò con fervore ed entusiasmo il nuovo mezzo di locomozione, fino a vedere in esso il segno di un cambiamento, di una rivoluzione possibile anche per il linguaggio figurativo.
In “Pioggia, vapore e velocità” (Londra, National Gallery) di William Turner, il treno viene rappresentato per la prima volta. L’opera, realizzata nel 1844, ad appena un decennio dall’invenzione di Stephenson, è un impasto turbinoso di colori chiari, forti e marcati, tali da rendere ogni immagine indefinita, un espediente utile a rendere in maniera piena e decisa l’idea di un’atmosfera imperversata da un furibondo temporale. In questo disordine atmosferico e cromatico dove riesce a distinguersi solamente il colore nero del locomotore che sembra avanzare deciso lungo un ponte, la ‘macchina’ riesce a sfidare e sopraffare la natura.
Diverso fu invece l’approccio delle avanguardie artistiche del Novecento, soprattutto dei futuristi italiani, che vedevano nel treno non il simbolo della potenza meccanica che contrasta la natura, bensì l’elemento fisico e vettoriale della velocità, il dinamismo crescente capace di squadernare il mondo reale. Ne è un chiaro esempio il dipinto del 1912 realizzato da Luigi Russolo, con il significativo titolo “Dinamismo di un treno”. L’artista infatti non rappresenta il mezzo nella sua struttura reale, bensì scompone geometricamente il moto del treno che, nel suo rapido procedere, sembra voler trascinare con se l’aria e ogni elemento fisico come gli alberi e le case, queste ultime ridotte a progressive linee elicoidali di colore rossastro.
Ma torniamo lì nella Russia della transiberiana, in quelle distese immense di paesaggio variegato tra aspirazioni stakanoviste e itinerari farciti di propaganda. Qui il treno stesso si identificava nel progresso dell’intera nazione. Esplicito è nell’opera “In viaggio” (Mosca, Istituto di Arte Realista Russa) di Georgji Nissikij, dove un paesaggio industriale degli anni cinquanta, irradiato da un tramonto infuocato, viene come tagliato dalle linee metalliche delle strade in costruzione, mentre in diagonale avanza un impetuoso treno che, con la coltre verticale di fumo, sembra richiamare la potenza di un vulcano in eruzione.
Idilliaca e rasserenante è invece l’opera “Le poesie di Majakovskij” (Mosca, Istituto di Arte Realista Russa) realizzata da Aleksandr Dejneka nel 1955. La scena si svolge all’interno di un vagone di terza classe di un treno, con una serie di persone intente in vari dialoghi , mentre dai finestrini si scorge un paesaggio montano. Il locomotore diviene poi simulacro della memoria e dei ricordi, come nel piccolo trenino fumante che viaggia sullo sfondo dei paesaggi metafisici di Giorgio de Chirico. E sono infatti proprio i sentimenti a viaggiare lungo le strade solcate dalle rotaie infinite, come nel trittico degli “Stati d’animo” del 1910-11 di Umberto Boccioni. Nel primo degli episodi l’artista porta al massimo la scomposizione delle immagini: al centro del quadro domina la locomotiva cupa e sbuffante ma frantumata in tanti piani metallici, poi la forma ripetuta di una coppia che si abbraccia prima del distacco definitivo, immagine che si trasforma in una serie di struggenti onde emotive di colore rosse, a dominare l’intera composizione sono i toni cupi de “Gli addii”(New York, Museum of Modern Art).

Fonte: Sir
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