Al cinema “Così com’è” del cosentino Antonello Scarpelli

La pellicola si interroga sulla difficoltà di parlare della malattia che cambia i ritmi della propria vita

È sempre molto difficile accettare una malattia, inserirla nei propri ritmi esistenziali e farla penetrare coscientemente nei meandri della propria psiche e della propria anima. Fatichiamo a trasformala in una perfetta normalità, ancor di più se si tratta di una forma di disabilità neurodegenerativa con scarse possibilità di regressione. Guardare in faccia una persona inferma provoca una risposta psicologica nell’essere umano, che è propenso a respingere il dolore per non venirne sopraffatto. La volontà di raccontare la malattia che avanza in tutta la sua aggressività, mettendo alla prova le persone, è ciò che ha spinto il regista cosentino, Antonello Scarpelli, a girare il film Così com’è, al cinema dal 29 maggio. Nato a Celico nel 1988, il cineasta ha studiato “Arti Visive” presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, specializzandosi in “Film e Cinema digitale” ad Amburgo in Germania, e seguendo altri corsi di cinematografia a Colonia. Dopo le pellicole “Peppino” (2011), “Michele” (2013) e “Tarda Estate” (2017), ambientate tutte a Celico, Antonello vuole ora narrare in Così com’è la storia di Emilia, un’impiegata comunale calabrese di mezza età, il cui marito è affetto dal morbo di Alzheimer. La donna parte con il consorte malato alla volta della Germania, per ricongiungersi al figlio Antonello (interpretato dallo stesso regista) con cui intende discorrere della situazione del padre. Il viaggio rappresenta un po’ la fuga da una realtà inaccettabile, oltre ad essere un modo per ignorare quella tanto fatidica e temuta parola che è “Alzheimer”. Ci si illude che tutto vada per il verso giusto, fino a quando ci si rende conto che non ci si può più nascondere dietro un’inutile apparenza, generatrice solo di false aspettative e di sofferenze ancora più atroci e pungenti. Nella pellicola i genitori avanzano verso il figlio ma quest’ultimo sembra quasi irraggiungibile. Sembra che tra le due parti si sia innalzato un muro invalicabile, che impedisca la comunicazione della verità e la reciproca comprensione emotiva. La distanza tra i protagonisti è segnalata anche dal ricorso a tre lingue diverse che vengono parlate (italiano, tedesco e inglese), segno di un cambio generazionale e sociale dovuto in parte al fenomeno migratorio. La ragazza che sta con Antonello parla in inglese con Emilia la quale, a sua volta, traduce al marito malato. Si avvertono assenze mescolate ad un senso di alienazione dei rapporti umani. Il regista e attore cosentino ha girato il film tra Celico e la Germania, alternando vicinanza e distanza, presenza e assenza, memoria e negazione. Aggrapparsi ai ricordi, parlare della quotidianità e degli amici, rimandare il problema cercando una protezione dal dolore, fingendo che tutto vada liscio, non fa che accrescere il senso di smarrimento, posticipando l’aiuto da offrire a chi ha bisogno di protezione. Nel film coloro che conoscono la verità preferiscono tacerla e non condividerla. Il regista si interroga proprio su ciò che porta l’essere umano a non voler dividere il dolore con gli altri, sottolineando il disagio psicologico che nasce quando si cerca di evitare di parlare di una malattia. Il fulcro di tutta la trama è che i protagonisti non si perdono, ma scivolano in un isolamento personale, si danno per vinti e commettono degli errori mostrando le loro imperfezioni. La morale della storia è la necessità di trovare il coraggio di aprire la bocca, dando voce ad una malattia indicibile che si può imparare a gestire, comprendendone le dinamiche di sviluppo. Scarpelli descrive un ritratto familiare intimo e senza retorica, alternando primi piani a paesaggi ampi, che servono a dar spazio a riflessioni specifiche sui rimossi della tipica famiglia della classe media italiana. Il film è stato prodotto da Albolina Film, Sutor Kolonko, con il sostengo di IDM Film Commission Südtirol e Fondazione Calabria Film Commission.