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Al Seminario Pusc la relazione di don Maffeis

Il direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della Cei è intervenuto al convegno sulla gestione degli uffici stampa.

Al Seminario Pusc la relazione di don Maffeis

“Sono cresciuto in una piccola comunità di montagna del Nord Italia, dove ogni domenica la parrocchia offriva il film della settimana, il parroco sceglieva la pellicola dal catalogo della Conferenza episcopale, e a casa avevamo la Tv dei ragazzi. A distanza di 40 anni, sappiamo come siano cambiate le cose nel mondo della comunicazione: la centralità delle istituzioni si è ridotta mentre prima orientava le azioni delle persone”. Cosi ha affermato don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio comunicazione della Conferenza episcopale italiana, durante il workshop d’apertura della tre giorni intitolata “Partecipazione e condivisione, gestire la comunicazione della Chiesa in un contesto digitale”, organizzata a Roma dalla Pontificia Università della Santa Croce. “Oggi – ha continuato nel suo intervento – è saltata la gerarchia dei ruoli, i lettori vogliono commentare e diffondere loro stessi i contenuti che non sono più affidati alla forza dell’emittente. In questo scenario – ha sottolineato – chi prova a svolgere un servizio come portavoce non ha più spazio come unico soggetto che trasmette contenuti”. “Siamo quindi chiamati a diffondere una cultura delle comunicazioni – ha spiegato il responsabile della comunicazione della Cei -. Lo stesso Papa dice che comunicare significa condividere, un’azione che richiede l’impegno nello scegliere le parole per costruire la pace e superare le differenze, con sincerità e trasparenza, senza usare gli altri in maniera strumentale. Durante l’ultimo anno, ho sperimentato la ricchezza della condivisione dei materiali, come video, post, e commenti fra colleghi sui social. Dietro la condivisione è nato lo scambio ma anche le critiche. Ciò – ha concluso – impone una cura delle relazioni, visto che queste hanno delle ricadute molto concrete e comportano una revisione del nostro ruolo di comunicatori”.

“Non è secondario nemmeno il livello di comunicazione interna anche nella Conferenza episcopale perché a volte, presi dall’emergenza, i rapporti fra i diversi uffici interni saltano. Uno dei risultati più fecondi del lavoro di quest’anno è stato quello di fare in modo che i 22 uffici della Conferenza episcopale italiana fossero coinvolti nel lavoro essenziale di mettere a disposizione delle persone competenti, laiche e non, ad essere intervistate dalle televisioni, le radio o rispondere sui social” - ha detto don Maffeis. “Il lavoro – ha continuato monsignor Maffeis – ha portato a dei risultati come la creazione di un database aggiornato. Ora tante trasmissioni televisive ci chiamano perché sanno che ci sono delle persone disponibili e autorevoli. Un esempio è stato quando il Papa era in Messico e per la Rai c’era la necessità di coprire molte ore avvalendosi di questi contributi. Il ruolo dell’ufficio in questo modo è stato accresciuto, obbligando me, paradossalmente, a fare un passo indietro come portavoce. Non è una scorciatoia – ha commentato infine – ma è un modo aperto di delegare gli altri a rispondere a temi scottanti sui quali il portavoce non può comunque nascondere la faccia. Mi ha aiutato a dare risposte e si è evitato così di rigettare le tante richieste”.

Fonte: Sir
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