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Migranti: Austria e Slovenia pronte a chiudere le frontiere se aumenteranno i flussi

Sì è concluso il viaggio-studio di Caritas italiana tra Italia, Austria e Slovenia per conoscere meglio la situazione dei migranti alle frontiere terrestri. Emerge un'Europa sempre più chiusa, pronta ad erigere nuovi muri in caso di ingenti flussi.

Migranti: Austria e Slovenia pronte a chiudere le frontiere se aumenteranno i flussi

n territorio che può essere considerato come “i barconi dei Balcani”: è la porosa frontiera tra Friuli Venezia Giulia, Austria e Slovenia, che lo scorso anno ha fronteggiato un flusso di 1 milione di profughi in transito dalla rotta balcanica. Un’esperienza scioccante, che ha visto picchi di 16.000 persone entrare in un solo giorno in Slovenia e ha messo a dura prova i governi e le organizzazioni umanitarie. Oggi, nonostante l’accordo Ue-Turchia, ci sono centinaia di migliaia di profughi nei campi in Turchia e Grecia che potrebbero affidarsi ai trafficanti e tentare di nuovo questa rotta. I governi, spinti dalla ricerca di consenso politico, sono pronti a chiudere di nuovo le frontiere. In questo territorio in continuo movimento, e con la formula innovativa di un viaggio itinerante tra Italia, Austria e Slovenia, si è svolto dal 20 al 23 settembre il Migramed 2016 di Caritas italiana, con 150 partecipanti da 50 diocesi italiane e di Caritas europee. Come base la città di Grado, nella diocesi di Gorizia, luogo di passaggio e confronto tra diverse culture: romana, slava, tedesca. Tanto che qui gli anziani parlano un dialetto che assomiglia molto allo sloveno e anche la cucina risente di influssi mitteleuropei. Con tappe a Gorizia, Klagenfurt in Austria, Lubiana in Slovenia. E un momento di preghiera al confine italo-austriaco. Un viaggio reale e raccontato tra i muri e le barriere di una Europa sempre più chiusa.

Austria e Slovenia pronte a chiudere. Caritas, “Europa poco solidale”. “Austria e Slovenia sono pronte a chiudere le frontiere, spinte da paure consolidate che hanno riflessi nelle politiche nazionali”, osserva a conclusione dell’incontro Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas italiana. I numeri quasi irrisori delle “relocation”, ossia la distribuzione dei rifugiati nei vari Paesi del Continente come previsto dal piano europeo, dimostrano che “non c’è la volontà di una responsabilità condivisa – sottolinea – e si scarica tutto il peso di questa umanità disperata in fuga su due soli Paesi: Italia e Grecia”. Da qui il solito, rinnovato appello alla solidarietà: “L’Europa sia una e accogliente”.

Le frontiere interne all’Europa. Dall’ascolto dei vari responsabili delle Caritas europee che operano nei luoghi di frontiera, di passaggio o accoglienza dei profughi, è emersa una situazione critica. Per Maria Alverti, direttrice di Caritas Grecia, le difficili condizioni di vita nei campi allestiti dal governo greco, dove sono trattenuti oltre 55mila profughi costituiscono una “bomba a orologeria”. In Serbia sono accolti oggi 5.000 richiedenti asilo, i campi sono quasi pieni. Caritas Serbia prevede un aumento degli ingressi in autunno, nonostante il muro di 150 km costruito dal governo ungherese. “L’emergenza non è finita, non si tratta assolutamente di un capitolo chiuso”, secondo Miograd Zivkovic, di Caritas Serbia. In Francia, a Calais, dove è appena iniziata la costruzione del muro finanziato dalla Gran Bretagna con 3,2 milioni di euro, “la situazione peggiora a vista d’occhio”, racconta Lola Schumann, di Secours catholique-Caritas France. Nella “jungle” di Calais sono accampati circa 10mila profughi: il governo vuole ridistribuirli nelle città ma i sindaci sono riluttanti. Secours catholique teme che siano rimandati in Italia sulla base del Regolamento di Dublino. In Austria, invece, nei primi 8 mesi di quest’anno sono state presentate 32.036 richieste d’asilo, in calo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (45.857 nel 2015). A chiedere l’asilo sono soprattutto siriani e iracheni, segno che il bisogno di protezione internazionale è ancora alto. Ma i controlli alle frontiere si fanno più serrati: a Coccau-Tarvisio stanno allestendo centri d’identificazione che saranno attivi in inverno. Ogni giorno le forze dell’ordine austriache e italiane effettuano controlli sui treni ma molti migranti riescono a passare. In base a una nuova normativa austriaca la polizia fa un primo colloquio con le persone fermate e decide se rimandarle o no verso l’Italia. “Siamo critici con la politica del nostro governo – afferma Joseph Marketz, direttore di Caritas Carinzia -: chiude le frontiere ma non fa abbastanza per chi fugge”. La Caritas in Austria gestisce il 20% delle accoglienze, in parte con contributi governativi. Se la ricca Austria chiude, di conseguenza la Slovenia, che accoglie solo 300 richiedenti asilo e 60 rifugiati della “relocation”, è spinta a fare lo stesso e ha già annunciato la blindatura di tutti i confini in caso di nuovi flussi. A Lubiana la piccola Caritas Slovenia ha imparato dall’esperienza dello scorso anno a fronteggiare le emergenze, con un migliaio di volontari coinvolti, e oggi critica il governo per le chiusure.

Alle frontiere italiane. Alla frontiera friulana tra Austria e Italia il flusso di profughi si muove anche in senso opposto, da nord a sud. Afgani e pakistani che non riescono a ottenere asilo in Austria tornano per fare richiesta in Italia e poi provare a proseguire il viaggio, con permesso regolare, verso la Danimarca e i Paesi Bassi: “Nel 2016 sono stati 5.000 i migranti rientrati da Tarvisio”, ricorda Paolo Zenarol, di Caritas Udine. Al Brennero, tra Italia e Austria, la tanto discussa barriera contro i migranti non è stata ancora realizzata “ma tutto è pronto per maggiori controlli in caso di un improvviso aumento dei flussi”, conferma Paolo Valente, della Caritas Bolzano-Bressanone. I migranti che tentano di passare la frontiera tra Italia e Francia vengono invece rimandati nei centri del Sud Italia “ma molti ritornano a Ventimiglia”, racconta Maurizio Marmo, direttore della Caritas Ventimiglia. Dall’anno scorso sono passati circa 6.000 profughi, che hanno coinvolto la diocesi e una parrocchia in un grande sforzo di accoglienza per centinaia di profughi transitanti. Altre 4 parrocchie hanno dato una mano e ospitano nuclei familiari. Nemmeno a Como, a pochi passi dalla Svizzera, l’emergenza profughi è finita. Sono ancora 3/400 i profughi transitanti accampati in stazione o ospiti del campo di accoglienza gestito dalle organizzazioni umanitarie. Attualmente il problema maggiore sono i minori migranti che la Svizzera rimanda in Italia, violando le normative internazionali che li tutelano. La Caritas di Como ne ha attualmente in carico una quarantina che ospita tra parrocchie e istituti ma la situazione è grave. “Ci sono bambini di 11/12 anni dal Corno d’Africa – denuncia Roberto Bernasconi, direttore della Caritas di Como -. Siamo preoccupati perché abbiamo visto personaggi italiani aggirarsi tra di loro, si rischiano episodi di prostituzione maschile e femminile. È un problema grave che non interessa nessuno”.

Fonte: Sir
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