Editoriali
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Rileggere la lezione di Ratisbona

Un'analisi sul rapporto teologico nell'Islam tra pace e guerra.

Parole chiave: lezione (1), papa benedetto (3), ratisbona (2), università (12)
Rileggere la lezione di Ratisbona

L’ennesima strage di terroristi islamici in Bangladesh che ha visto il massacro tra gli altri di nove nostri connazionali, “rei” di non conoscere i versetti del Corano, ci impone una riflessione più ampia sul rapporto teologico nell’Islam tra pace e guerra. Il profeta Maometto divideva l’intero globo in due semplici sfere: la “Casa dell’Islam” e la “Casa della Guerra”. Tra le due realtà c’era una costante guerra, in cui l’obiettivo della pace perpetua era rappresentato dalla conversione totale degli infedeli attraverso la cosiddetta Jihad, e cioè una “guerra santa” intesa come il tentativo o la lotta, a volte violenta, che il fedele compie per diffondere il proprio credo. A distanza di dieci anni, e dopo i recenti fatti di sangue, non si può non rendere giustizia ad una delle più lucide analisi di tale fenomeno, e cioè al discorso di Papa Benedetto a Ratisbona, oggetto di critiche ingenerose, frutto di ignoranza da parte di molti. Richiamando alla memoria un vecchio dialogo tra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un dotto persiano, Benedetto XVI non usò allora  giri di parole per ricordare una risposta dell’imperatore sul rapporto tra religione e violenza: “mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. Il vero senso della lezione, tenuta in Germania il 12 settembre di dieci anni fa, è stato frainteso, perché vi fu una lettura parziale dei fatti. Infatti Benedetto XVI ha sì ricordato un passo così duro di Manuele II, ma poco prima allo stesso modo aveva messo in luce come nella sura 2,256 (un capitolo del Corano) si poteva ritrovare il vero senso dell’Islam, leggendo testuali parole: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”. Il Corano spiega quindi chiaramente che nessuna giustificazione può esistere per la violenza in nome di Dio. La fede è nell’irrazionalità che ci ha generato (per i credenti ovviamente), ma si mostra nella vita quotidiana attraverso la Ragione, intesa come ricerca della migliore convivenza con il prossimo. Questo passo del discorso di Benedetto XVI non può essere dimenticato. Esso rappresenta una lezione che non è propria dell’ebreo, del cristiano o del musulmano, ma di ogni fedele. La spada nel passato si inseriva in una storia di “crescita” e “scoperta”. L’Islam, come il Cristianesimo, ha ricercato il suo sviluppo in una lotta che legava spesso la religione alla politica (d’altronde non avevano la stessa natura anche le Crociate?). Ma oggi questo periodo è superato. Il Cristianesimo per comprenderlo ci ha messo secoli e non si è sottratto anch’esso ad azioni riprovevoli. Ora spetta all’Islam lasciarsi alle spalle il costante e pericoloso richiamo a termini del passato. Al mondo Occidentale spetta il compito di dialogare col mondo dell’Islam moderato, o meglio la maggioranza dei credenti islamici, che oggi ancor di più, dopo l’ennesimo vile attacco, bisogna avere il coraggio di ricercare e proteggere.

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