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Garlando: ecco come raccontare lo sport oggi...

Il libro del giornalista della Gazzetta dello Sport per raccontare "il mestiere più bello del mondo". Gli aneddoti della rosea in anteprima a PdV. 

Garlando: ecco come raccontare lo sport oggi...

“La probabilità di apprendere dal giornale una vicenda straordinaria è molto maggiore di quella di viverla personalmente: in altre parole, oggi l’essenziale accade nell’astratto, e l’irrilevante accade nella realtà”, diceva negli anni ’30 del Novecento Robert Musil. Ritratto di una metodologia comunicativa di un’altra epoca. Nel nuovo millennio le costanti rivoluzioni digitali offrono e allo stesso tempo limitano i già consolidati strumenti di informazione, sia cartacea, che radiofonico-televisivo. Cambia la figura del giornalista e del modo con cui le persone attingono ai fatti, o come i fatti arrivano alle persone. Luigi Garlando, firma di punta del quotidiano “La Gazzetta dello Sport” ha dedicato un libro sulla professione del cronista: “Il mestiere più bello del mondo - faccio il giornalista” (Rizzoli), rivolto ai giovani dove, tra un consiglio e un aneddoto, analizza lo stato dell’informazione. 

Garlando, perché questo libro?

Scrivo tanti libri per ragazzi. Loro mi chiedono nelle e-mail consigli, informazioni, curiosità su questo mestiere, che in alcuni casi guardano da lontano. Mi sono detto: ne scrivo uno dove rispondo a tutte queste domande. Un libro che potesse essere metà manuale e metà racconto biografico per far vedere nel concreto la teoria. 

Parli dello stato dell’informazione. Ad oggi com’è si trova quella sportiva, tra giornali cartacei e nuovi media digitali? La carta come si rapportà a queste nuove realtà?

Siamo in una fase di guado, di trasformazione. Non credo che sia chiarissima a tutti la nuova direzione da prendere. Chiaro che non possiamo essere più quelli che siamo stati. Siamo rassegnati ad aver ceduto le notizie di cronaca ad altri mezzi, che sono siti, televisione, radio. Tante cose in termini di notizia spicciola che diamo noi, sono state assorbite dai lettori il giorno prima. La trasformazione di un giornale è sempre più quella di un foglio, succede soprattutto per i giornali politici, che raccoglie punti di vista, commenti, approfondimenti. Il giornale su carta può sopravvivere così. Il giorno prima gli altri mezzi ti dicono cosa è successo, il giorno dopo sulla carta si spiega il perché. La firma diventa più importante di prima. Per esempio, compri La Gazzetta per sapere da quel giornalista, di cui ti fidi e stimi, cosa pensa della partita vista il giorno prima. Tre parole in sintesi: approfondimento, competenza e racconto. 

Come cambia il lavoro di un cronista cartaceo?

Una volta il lavoro era più gratificante. Ti avvicinavi a questa professione e avevi diritto alla conoscenza del campione. Questo diritto ora si è perso per vari motivi. Gli allenamenti sono blindati. Anche il fatto di avere canali tematici societari, Inter Channel, Roma Tv ecc, per vendere dei prodotti devono affidarli ad altri. Questo ha portato sempre di più a blindare le squadre. E’ diventato difficile avere una notizia in più degli altri. 

Cosa deve possedere di base il giornalista che osserva una partita?

Credo che si debba essere più competete rispetto a prima. Prima ti potevi accontentare di fare la semplice cronaca. Le azioni non si raccontano più perché si dà per scontato che il lettore le abbia viste il giorno prima. Allora il giornalista deve spiegare tatticamente perché una squadra ha vinto e l’altra ha perso. Deve avere una competenza tecnica-tattica. Inoltre, una capacità di racconto letteraria. Avere un pathos facendo emozionare il lettore in un episodio vissuto il giorno prima. Parole chiavi: racconto e competenza. 

Forse sulla rete si trova un linguaggio più sterile…

Si, perché il digitale deve puntare all’immediatezza. Quindi si debbono privilegiare altri criteri: velocità di comunicazione, sintesi. Criteri profondamente diversi. I due mezzi sono distinti di sicuro. 

Forse c’è un eccesso di libertà. E’ passata l’idea che il giornalista è un mestiere che si possa fare come passatempo? Non è un rischio per la categoria minata dall’interno?

Certamente, ma poi cosa puoi fare? Vuoi evitare una democrazia d’accesso?. E’ indubbio che la troppa facilità con cui si arriva a diffondere informazioni. Non tutti possono essere attrezzati, competenti. Il rischio è che si confonda la categoria con certe produzione. Ripeto, è difficile. E’ costretto il lettore ad identificare i luoghi dove informarsi. Non puoi restringere. E’ delicata la questione. Però ci dovrebbero essere più sbarramenti di competenza. Come in ogni professione c’è un esame. E’ paradossale che per arrivare a raccontare una partita di Serie A non è richiesto un esame di competenza. Magari si potrebbe introdurre un patentino per giornalisti. Mi chiedo perché non dovrebbe essere testata la competenza. 

Hai vissuto a cavallo tra un calcio più genuino fino a quello del nuovo millennio. Quali differenze puoi scorgere?

Un po’ l’abbiamo detto. L’accessibilità generale alle squadre. Fino agli anni 90, prima dell’esplosione dei canali tematici e dei social, al giornalista tutto sommato faceva comodo diffondere un prodotto che la squadra aveva intenzione di vendere. Invece, la cosa nuova è rapporto sempre più conflittuale tra la società e il giornalista. Un tempo erano alleati, perché alla prima faceva comodo che se ne parlava della squadra. Le società hanno maturato altri interessi: quelli di guadagnare da altri fonti. C’è anche il fatto delle tribune stampa: si sono allontanate dal campo. A San Siro i giornalisti stavano al primo anello. Da protagonisti a comparse inutili. Infatti, lì hanno messo dei box che vendono a ricchi inserzionisti e noi siamo stati sbattuti al secondo anello. Noi non paghiamo, non siamo utili. La carta ha perso molto potere negli ultimi 20 anni. 

Una figura che sta prendendo molto potere è quella del Procuratore. Soggetti che riescono ad influenzare indirettamente una stagione di una squadra? Cosa perde il calcio?

Perde immagine. Non sono episodi edificanti. Qualche mese fa, sulla Gazzettaabbiamo intervistato Branchini, uno degli agenti più seri ed esperti in circolazione. L’accesso alla professione del procuratore è molto facile. Anche qua andrebbe integrato un sistema d’accesso più improntato a sondare la competenza, la professionalità, imponendo delle regole. Altrimenti il calcio perde immagine e gli ambienti vengono sabotati. 

C’è una partita che ricorda piacevolmente?

La semifinale mondiale Italia-Germania del 2006. Più della finale paradossalmente. Proprio perché era una partita tesissima, la più bella giocata allora. C’erano altre componenti: l’orgoglio degli emigrati…

Il suo computer ha rischiato di andare definitivamente in tilt per colpa di una bottiglietta d’acqua…

Esatto. Fattori personali, ambientali. Ogni giorno gli italiani che lavorano in Germania ci dicevano “se non vinciamo passiamo 4 anni di inferno”… La gioia di queste persone, la nostra… dopo la partenza traumatica di Calcipoli siamo riusciti ad arrivare in finale. Quell’impressionante cavalcata, culminata in quella finale eccezionale. Oltre al dato personale ovviamente. Dovevo approfondire la figura del personaggio ed era mezzanotte senza aver scritto ancora una riga. Era un po’ un clima epico. Un altro ricordo da interista: la finale di Madrid del 22 maggio 2010. 

Una figura importante è Candido Cannavò, storico direttore della “rosea” per quasi 20 anni. Che ricordo ha del giornalista catanese? Cosa consiglia ad un aspirante giornalista?

Candido, oltre ad essere stato il direttore che mi ha assunto, rimane un esempio di come si fa questo mestiere. Due regole sopra le altre: la schiena dritta, che vuole dire fare il lavoro con coscienza senza piegarsi alla strada più semplice, alla scorciatoia, ma fare la cosa che si deve. Lui lo ha fatto con Marco Pantani. Lo ha amato da morire. Quando è caduto nel fango del doping ha scritto cose durissime, soffrendoci. La seconda lezione è la passione. Nel libro racconto questo aneddoto: si voleva assistere alla finale per la medaglia d’oro olimpionica nel tiro assegno, dove era impegnata Chiara Cainero. Per raggiungere il posto dovevamo percorrere a bordo di una macchinetta scoperta sotto una pioggia intensa. Nonostante questo, a 70 anni passati, lui voleva essere lì fisicamente a seguire Chiara. Si prese secchiate d’acqua per quella ragazza. Quell’immagine me la porto dentro. Infine, dico ai ragazzi di non arrendersi. Il giornale sopravviverà perché ci sarà sempre qualcuno che dovrà fare opinione. Tuttavia, tenetevi pronto un piano B. 

 

 

 

 

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