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La Madonna del Pilerio di Cosenza

Un approfondimento sull'icona della patrona della città e dell’Arcidiocesi bruzia

La Madonna del Pilerio di Cosenza

Citata per secoli solamente in quanto oggetto di venerazione in diversi atti e fonti proprie del luogo – compiuta sintesi tra studio delle cose divine e del loro rapporto con quelle umane e devozione popolare – è rimasta inesplorata alla conoscenza storico-artistica fino all’avanzato settimo decennio del secolo scorso.
L’icona della Madonna del Pilerio, oggi custodita e venerata nella Cattedrale di Cosenza, nella cappella a lei intitolata, mostra l’elevato grado del suo autore, la cui preparazione dovette svolgersi in un’ampia orbita mediterranea. Ma la Vergine cosentina, pur vincolandosi all’illustre bizantinismo di matrice costantinopolitana presente a Messina nella seconda metà del XIII secolo, ne costituisce il canto del cigno e, per marcate, differenti propensioni – orientate in altre zone “bizantine”, da quella toscana, fra i maestri pre-cimabueschi, a quella campana – se ne distacca.
Ed è principalmente la sembianza artistica dell’opera a determinare, settore culturale, datazione del fatto storico e forse anche il possibile autore.
Allo scopo di evidenziare i vigorosi ascendenti siciliani del dipinto è pertinente notare che le spiccate ricerche spaziali perseguite, trovano similitudine nel notevole carattere plastico fortemente volumetrico della testa della Vergine e del suo bellissimo viso comneo, nell’incavo ombreggiato creato dalla corona gonfia di tessuto arrotolato (cercine), dal maphorion e dallo scialle rosso.
Come riferisce la tradizione, la Madonna salvò i cosentini dalla tremenda pestilenza che imperversava nel 1576-77. Sotto il quadro, sul marmo, in riferimento a tale prodigio in seguito al quale fu proclamata Patrona di Cosenza, si legge: Haec nos quam colimus de peste redimit imago prodigium labes denotat orta genis (Questa immagine che noi veneriamo ci ha salvati dalla peste, la macchia apparsa sul volto ne mostra il miracolo).
Maria Pia Di Dario Guida negli anni ’70 del secolo scorso ne ha progettato il restauro e l’aspetto odierno dell’icona è l’esito voluto dall’arcivescovo Mons. Enea Selis nel 1976-77, da lui facilitato nell’ambito dell’attività della Soprintendenza perché con il suo intervento, è stato possibile superare le difficoltà create dalla devozione popolare.
Con la finalità di ricomporre le situazioni fisiche del dipinto, è il caso di citare pure le tracce che furono percepite come segni del terremoto del 1783 che la Madonna avrebbe attratto su di sé, proteggendo in tal modo la città. Il miracolo ritornò nel corso del terremoto del 1854 quando il viso della Vergine “… presentava macchie naturali con tre patenti screpolature una sotto il labbro inferiore e l’altre due alla guancia sinistra vicino agli antichi miracolosi segni della peste e del flagello del terremoto del millesettecentottantatrè”. Che la denominazione di Madonna del Pilerio derivi da pilastro o porta, essa rappresenta in ogni caso un epiteto di luogo che si è accavallato ad altri come è accaduto per le più famose icone bizantine. La veneratissima icona glorifica la Madonna nell’esaltazione sublime relativa all’atto più caro della sua maternità. In essa, i caratteri bizantini – evidentissimi specialmente nel Bambino – si fondono con quelli della Vergine che presenta una plasticità notevole nel volto e un atteggiamento ammorbidito da ben visibili influssi di pittura occidentale. La Di Dario – in tempi abbastanza recenti – ha creduto di poter riconoscere in Tommaso dé Stefani l’importante maestro autore dell’opera di cui si discute, nella fase di tramonto della pittura bizantina nel nostro Mezzogiorno, fra gli ultimi svolgimenti svevi e la prima età angioina. La figura della Madre di Dio (Theotókos) si innalza maestosa, sorreggendo al dolce seno il Figlio, ammantato da un velo diafano bianco, seduto tra le mani materne che formano quasi un trono regale. Egli ha sulla testa un’aureola, suddivisa in quattro punti dalla croce, e una banda – formata da due cingoli – che preme e unisce i due addomi rappresentanti la natura umana e divina.
Le stelle che ornano la Madonna sono tre: una sulla fronte e due ai lati, sulle spalle. Indicano la sua verginità prima, durante e dopo il parto con il quale ha dato alla luce Gesù, Divino Redentore dell’umanità.
Maria, nel suo ruolo di nutrice, pertinente al tipo iconografico della Vergine che allatta, dal quale procede l’immagine della “Madonna delle Grazie”.
Per di più si ribadisce che le scritte in latino MR e DOMINI collocate rispettivamente a sinistra e a destra della tavola – come prescritto dal Concilio Ecumenico Niceno II (787) –, indicano la maternità divina.
La Madonna cosentina pur connettendosi al raffinato gusto estetizzante bizantino se ne allontana per inclinazioni che trovano relazioni interessanti in altri territori, da quello toscano, all’altro campano, e nell’ambito delle “rotte crociate”, comprendente la Puglia e le vicinanze con la pittura della costiera amalfitana.

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