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La grotta del Romito, il paleolitico in Calabria sulle orme del "bos primigenius"

L'archeologo Fabio Martini, dell'università di Firenze, dal 2000 conduce la campagna di scavi presso il sito di Papasidero. Nell'intervista traccia anche un profilo degli uomini di 24 - 8 mila anni fa, cacciatori laboriosi e inclusivi. 

La grotta del Romito, il paleolitico in Calabria sulle orme del "bos primigenius"

La grotta del Romito, a Papasidero, è uno dei gioielli del Paleolitico. L’immagine su pietra del Bos primigenius attira da decenni l’attenzione degli archeologi e dei turisti. Scoperto nel 1961, ora a condurre le operazioni di scavo e i rilievi sul sito è l’archeologo Fabio Martini, professore ordinario di Paletnologia presso l'Università di Firenze, che nel 2000 ha ripreso il lavoro dell’archeologo Paolo Preziosi (1961 - 1968). Abbiamo intervistato Martini.

Inquadriamo il sito storicamente.

Le grotte del Romito sono uno dei giacimenti della fine del paleolitico (24 – 10 mila anni fa), tra i più importanti dell’Italia meridionale. È famoso a livello europeo, per cui quando si parla di paleolitico superiore, in Italia quello del Romito è tra i primi a essere citato.

Quali le caratteristiche della grotta?

Ha una successione di strati di circa 7 – 8 metri. Questa sequenza stratigrafica è stata indagata non solo da un punto di vista storico – geografico ma anche naturalistico. Ad esempio le indagini sui pollini fossili dei sedimenti ci dicono che tipo di paesaggio vegetale c’era in questa zona della Calabria, un ambiente montano e alto collinare. Abbiamo trovato resti di stambecchi, cervi e cinghiali, che ci dimostrano che c’era una fascia forestale boschiva molto folta dove poteva vivere.

Non c’erano i tori?

Il bos non poteva vivere nel Romito, perché, come i cavalli, ha bisogno di praterie e spazi aperti. Questo ci dimostra che le popolazioni del Romito si muovevano verso Santa Domenica Talao e Scalea, dove nella piana pascolano queste specie. Piuttosto, ha una valenza rituale e simbolica. In sostanza, oggi realizziamo una ricostruzione non solo storica, ma anche ambientale, perché ormai l’uomo viene considerato animale tra gli animali e uno degli agenti dell’ambiente.

Quali sono le informazioni che provengono dal Romito da un punto di vista storico – archeologico?

Questa sequenza stratigrafica ci mostra quali fossero le tecniche artigianali produttive nella lavorazione della pietra, e ci fa capire se le conoscenze delle comunità fossero condivise con quelle di altre comunità, cioè se ci fosse uno scambio di conoscenze o vivessero isolati.

C’erano scambi?

La ricostruzione ci dice che c’è tutta una fascia che va da Camerota a Sapri fino a Scalea, dove queste popolazioni non solo si scambiavano le conoscenze tecniche, ma anche andavano a rifornirsi di selce dalle stesse zone. Ad esempio, il bacino comunitario era quello del monte Sirino. Il Romito era un sito inserito in rotte di comunicazioni che avvenivano o lungo costa, nei momenti di ritirata dai mari, oppure nell’entroterra, come nella zona di Lagonegro.

Quali informazioni invece dal punto di vista figurativo?

Il bos primigenius da un lato va considerato per il suo stile, che rimanda un’influenza stilistica franco – cantabrica, uno stile figurativo che noi conosciamo fino alla Puglia. Il toro del Rmito rimanda proprio a quel tipo di contatto, e significa che questo sito, e la Calabria settentrionale, era inserito in circuiti di tipo europeo. Se da un lato il selce ci dice originalità rispetto ad altre zone, invece gli aspetti simbolici sono trasversali perché non hanno confini.

Ci faccia un esempio.

In questo periodo ci sono in Calabria, alla grotta a Praia a Mare, dei piccoli ciottoli marini dipinti con un sistema, uno stile e un significato che noi ritroviamo in Sicilia, Puglia, Lazio, Liguria, ma che ha come area d’origine i Pirenei. Questo significa che le comunità di allora viaggiavano, si scambiavano informazioni ma anche modelli simbolici, culturali e spirituali, assegnando a questo termine un significato di stati dell’anima.

Il protagonista del Romito è il bos. Cosa può dirci?

Il primo elemento è la localizzazione del masso. È visibile da qualunque parte si stazioni all’interno del sito, per cui era una presenza continua per comunità che vi viveva. L’abbiamo messo in relazione a un possibile significato totemico, perché sappiamo che nella preistoria alcuni animali hanno assunto un valore particolare. In questi casi parlo di rito, sacralità, religiosità. Ci sono in altre zone d’Italia e d’Europa altri animali, come in Liguria il cavallo, in Trentino il cervo e lo stambecco. Ogni comunità elaborava una propria spiritualità assegnando ad alcune specie animali un significato, che non sappiamo quale sia, ma che individua un ruolo di identità e rappresentanza del gruppo, che si riconosceva nelle capacità, virtù e doti dell’animale. Il valore del bos sembra avvalorato dalla posizione delle sepolture rinvenute al sito; alcune singole, altre doppie, per un totale di nove individui, numerati dall’1 al 9.

Come avvenivano le sepolture a quel tempo?

Testimoniano un rito funerario molto particolare, tranne l’ultima che abbiamo rinvenuto. Il rito è molto semplice, ma comunque c’era un codice che si ripeteva nelle varie sepolture. Il cadavere veniva deposto in una fossa, ricoperto da grosse pietre, organizzate in maniera precisa, per evitare lo scempio dei cadaveri da parte dei predatori; venivano fatte pochissime offerte. Le tombe del paleolitico con corredi più ricchi sono quelli di 35 – 40 mila anni fa, al Romito siamo a 12 – 11 mila anni fa.Il dato importante è che in due sepolture troviamo due corna di bos, che viene ricordato in un’offerta funeraria. In altre due punte di giavellotto, ricavate da ossa del bos. L’identità del gruppo con toro è una costante che emerge anche dal rito funerario.

Com’era l’uomo del paleolitico?

Vorrei sottolineare la cura per i disabili, un aspetto innovativo e un filone nuovo della ricerca archeologica. Questo a dimostrazione che l’empatia, l’inclusione, era un patrimonio di comportamento al quale ora siamo sensibili, ma una realtà antica. In una sepoltura doppia c’è un individuo adulto di sesso maschile affetto da nanismo. Si tratta di un individuo morto intorno ai 20 anni, era un uomo inabile alla caccia, non aveva le risorse fisiche per potersi adeguare alle necessità del gruppo, eppure ha fatto qualcosa per restituire alla comunità la cura parentale. Di certo, 20 anni di vita in quelle condizioni erano un bel traguardo. Abbiamo un altro caso, ancora più eclatante, il Romito 8, un cacciatore molto robusto e alto, come dimostrano gli studi sulle inserzioni muscolari. Qualche anno prima della morte ebbe un incidente, una caduta dall’alto sui talloni a causa della quale ha subito un contraccolpo sulla colonna vertebrale provocandogli una infermità permanente e una paralisi sul lato sinistro. Anche allora la comunità non lo escluse, e sopravvisse almeno altri 5 o 6 anni lavorando. Al momento della sua morte i denti erano praticamente usurati, arrivati alla radice. Le tracce lasciate sulla dentizione ci dicono che costui probabilmente ha lavorato con i denti per fabbricare cestini ed oggetti di vita quotidiana.

Cosa può dirci invece di Romito 9?

Si tratta di un uomo morto tra i 10 e i 12 anni. Le indagini realizzate con i colleghi dell’università della California ci dicono l’attualità del cervello dell’homo sapiens del romito intorno a 15 mila anni fa. Le indagini sul dna sono ancora in corso; questo ragazzo aveva un cranio ancora morbido e un cervello in espansione il quale, premendo verso la scatola cranica, ha lasciato delle micro impronte che ci ha permesso di ricostruire la forma esterna del cervello stesso. Oggi siamo in grado di dire che quel cervello è identico al nostro per le aree che riguardano il linguaggio e la mobilità. L’arte, la danza, le sepolture simboliche ci dicono proprio come era il Sapiens. Noi siamo figli di una certa struttura fisica e di un certo comportamento che risale a 40 mila anni fa.

Cosa si aspetta per il futuro della grotta?

La grotta del Romito potrebbe dare da scavare per 3 o 4 generazioni di archeologi, ma lo scavo è distruzione, e i prossimi archeologi, con strumentazione ancora più adeguata, avranno altro materiale. La cosa interessante è che vicino alla grotta abbiamo trovato un altro sito, e spero che presto ci sia un Romito 2. Io comincio, poi qualcun altro continuerà.

 

 

 

 

 

 

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