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Raffreddare il pianeta è una questione di giustizia ecologica

“Gli impegni assunti a Parigi prevedevano un impegno di 100 miliardi di dollari l'anno, a partire dal 2020. Le promesse diventeranno realtà?”. A chiederlo è Vincenzo Buonomo, docente di diritto internazionale alla Pontificia Università Lateranense in attesa della Conferenza internazionale Cop22 sul clima che si è aperta oggi a Marrakech, in Marocco.

Raffreddare il pianeta è una questione di giustizia ecologica

Si è aperta oggi, a Marrakech, in Marocco,  la Conferenza internazionale Cop22 sul clima. Sebbene non abbia ricevuto quest’anno l’attenzione dei grandi media come fu per Cop21 di Parigi, il Summit ricopre un ruolo delicato e fondamentale perché dovrà  affrontare e definire i dettagli di implementazione dell’accordo di Parigi dove i 195 Stati firmatari si erano prefissati di ridurre l’aumento della temperatura globale “al di sotto dei 2 gradi” rispetto ai livelli precedenti l’industrializzazione (1880-1899). Per fare questo, si sono posti l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 50% entro l’anno 2050 e del 100% entro il 2100. Se a Parigi quindi l’obiettivo è stato lavorare sul “cosa fare”, ora l’obiettivo è il “come realizzare”. Una cosa ormai è certa: la scienza ha ormai decretato che non c’è più tempo da perdere.I tre anni appena passati (incluso quello in corso) risultano essere i più caldi mai registrati nella storia e se continua così gli effetti sulla terra saranno drammatici con eventi catastrofici sempre più gravi e frequenti.

Vincenzo Buonomo, docente di diritto internazionale alla Pontificia Università Lateranense e membro della Rappresentanza della Santa Sede presso Organizzazioni Internazionali Governative, sta seguendo con attenzione i lavori in corso. Appena raggiunto telefonicamente dal Sir, pone subito un interrogativo: “Gli accordi di Parigi prevedevano un impegno di 100 miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2020. Le promesse diventeranno realtà?”. Secondo l’esperto, con l’entrata in vigore lo scorso 4 novembre dell’Accordo di Parigi, sono due adesso i punti che vanno resi operativi. “Anzitutto l’elaborazione dei piani nazionali per dare esecuzione alle disposizioni dell’Accordo. Questo significa – spiega il professore – un impegno concreto dei governi da inserire nelle rispettive disposizioni in materia energetica e, soprattutto, di politica economica: la condizione di ogni Paese diventerà il criterio per stabilire quali saranno i livelli di abbassamento delle emissioni di anidride carbonica in vista di una temperatura media ben al di sotto dei 2 gradi con cui è aumentata rispetto ai livelli precedenti all’industrializzazione, con lo sforzo di non superare il limite di 1,5 gradi. Proprio a questo aspetto si lega il secondo punto che è quello di favorire la riduzione di emissioni nei  Paesi a basso reddito o comunque in condizioni di limitato sviluppo, aspetti che impediscono un cambiamento immediato nell’uso e nella produzione di energia”.

Per la Conferenza di Parigi lo scorso anno la mobilitazione è stata ampia e a tutti i livelli. I lavori del Summit sono stati seguiti dai media di tutto il mondo e sulle strade della capitale francese, la mobilitazione di associazioni e ong era fortissima. “Questo – rivela l’esperto –  ha consentito una pressione notevole sui governi al momento di negoziare per cui nessun Paese voleva sentirsi responsabile di aver fatto fallire la Conferenza. Tornare a casa senza risultati sarebbe stato un problema di fronte ad un’opinione pubblica attenta”. Quest’anno è diverso e l’attenzione e la pressione  per la Conferenza di Marrakech sono state decisamente minori. “Eppure la giustizia climatica ha bisogno di sostegno e coscienza perché le emissioni non siano più considerate delle semplici disattenzioni e le energie alternative siano viste come una necessità non solo come una un’aspirazione”.

Papa Francesco non si tira indietro e all’Angelus di domenica scorsa ha chiesto che tutto il processo avviato dall’Accordo di Parigi “sia guidato dalla coscienza della nostra responsabilità per la cura della casa comune”.Non si tratta di uno slogan, commenta Buonomo, ma di “un impegno che deve tradursi, per i governi, in politiche, normative, finanziamenti obbliganti”. Ed aggiunge subito: “non è più possibile disattendere i contenuti dell’Accordo di Parigi in nome di crisi economiche o di interessi particolari legati alla produzione e al profitto ricavato dall’uso di fonti energetiche altamente inquinanti. Per ognuno di noi la responsabilità significa piccoli e grandi gesti virtuosi, di attenzione cioè nei nostri comportamenti quotidiani al dono che dobbiamo amministrare: il pianeta”.

Con il Papa, è sceso in campo anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I che alla Conferenza delle parti (Cop22) ha inviato un messaggio per sottolineare tutta la gravità della situazione e convincere i governi a implementare l’impegno preso.“Dopo ventidue anni è finalmente giunto il momento, per tutti noi, di vedere i volti umani che subiscono l’impatto dei nostri peccati ecologici.Non è solo questione di chi è colpevole o di chi dovrebbe rimediare.  Non è semplicemente questione di se o perché dovremmo cambiare. E non è certamente un problema di come alcuni possono continuare a trarre profitto o di come possiamo ridurre al minimo il cambiamento. Si tratta di esseri umani — tutti noi ma soprattutto gli “ultimi”, i più vulnerabili o emarginati fra noi — che sono ingiustamente e irreversibilmente colpiti”.

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