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La mafia parla dialetto veneto

Un sequestro avvenuto nei giorni scorsi nell’area di San Zenone conferma quello che emergeva già da indagini approfondite: i tentacoli della piovra sono da tempo arrivati nel nostro territorio. E qui riciclaggio di denaro e traffici illeciti hanno trovato terreno fertile.

La mafia parla dialetto veneto

Pecunia non olet, il denaro non puzza, dicevano gli antichi. Il denaro non ha provenienza, né conserva traccia di come è stato guadagnato. Il denaro è denaro e basta. Difficile condividere queste affermazioni; eppure il denaro, frutto di attività illecite, se ne va in giro senza tanti problemi. Così si scopre, quando la Dia di Catania procede al sequestro di circa 7 milioni di euro nell’area tra San Zenone degli Ezzelini e Castelfranco Veneto, che il Veneto e la provincia di Treviso sono permeati di denaro “sporco”, frutto di violenza e illeciti guadagni.
Stavolta il denaro era riconducibile a Giuseppe Faro, 58 anni, imprenditore operante nei settori edile e movimento terra ritenuto vicino al clan La Rocca, affiliato alla ‘famiglia’ Santapaola.  A San Zenone si è proceduto anche al sequestro di un immobile e nella zona molti conti correnti risultano riconducibili a Faro. Oltre la confisca dei beni Faro ha subito la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per due anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e presentazione bisettimanale alla Polizia, nonché al pagamento di una cauzione di 5 mila euro.
Due anni fa aveva fatto scalpore la supercondanna inflitta dal Tribunale di Venezia a 22 imputati di associazione di stampo mafioso, un totale di 215 anni di galera. Il gruppo aveva messo in atto un’operazione di strozzinaggio nei confronti di 150  imprenditori del Padovano, Trevigiano e Veneziano. Mettevano a disposizione capitali per superare il momento di crisi successivo al 2008, la finanziaria si chiamava Aspide, e in poco tempo derubavano di tutto i malcapitati imprenditori. Quello però che stupì durante le indagini condotte dalla direzione antimafia di Padova è il terreno fertile che la banda trovò attorno, con consulenti bancari, commercialisti, a volte notai che indirizzavano verso questa società.
A capo di tutto c’era Mario Crisci detto il “dottore”, che durante il processo, interrogato dal procuratore antimafia Roberto Tarzo sulle ragioni che lo spinsero a trasferirsi in Veneto, risponde spontaneamente: “Beh, siamo venuti qui perché qui sono disonesti”. “Abbiamo scelto di concentrare le nostre attività al Nord Est perché qui il tessuto economico non è così onesto. Anzi tutt’altro”. E ancora: “Qui la gente non ha voglia di pagare le tasse, peggio che da noi”. Leggendo il documentatissimo libro di Luana De Francisco, Ugo Dinello, Giampietro Rossi, intitolato “Mafia a Nord est”, possiamo trovare quello che Roberto Pennisi, magistrato, dichiarò alla commissione antimafia il 17 aprile del 2012 sul caso Veneto: “Questo è il pericolo più grosso rappresentato dal punto di vista sociale: c’è simpatia”. Ecco perché nel caso di Aspide non c’erano denunce e per smascherare la banda si è dovuto ricorrere ad un infiltrato.
Nel 2008 uno studio dell’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, che calcola le percentuali di reddito dichiarato rispetto a quello disponibile, dimostrava che la regione che sottrae più ricchezza alla casse pubbliche ai fini dell’Irpef è il Veneto, viene occultato in media il 22,4 per cento dei redditi. Questo dato viene riconfermato nel 2014 da uno studio di Libera.
Nel libro “Mafia a Nord est” gli autori usano questo studio per affermare che in Veneto è importante fare nero, accumulare capitale illecito su cui non pagare le tasse e sottoporlo ad autoriciclaggio. Questa permeabilità del Veneto al business illecito è evidente anche dallo sviluppo che tra il 2001 e il 2008 ha avuto il mercato della contraffazione con l’importazione di lavoratori irregolari cinesi e la collaborazione di organizzazioni mafiose, sfruttando la sovrapproduzione dei contoterzisti delle grandi firme.
Ascoltando questa serie di testimonianze in Commissione antimafia il presidente Rosy Bindi pronuncia frasi assai severe. “La mafia oggi sa parlare dialetto veneto, perché si avvale della complicità di persone che vivono lì e che non necessariamente appartengono alla malavita. La differenza è che al Sud la mafia ostenta la sua forza per suscitare paura, al Nord si mimetizza, cerca di non farsi vedere. Nel Nord l’omertà si cementifica sulla base del reciproco interesse economico”.

http://www.lavitadelpopolo.it

Fonte: Sir
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