Scienza e fede in Pierre Teilhard de Chardin

Quest’anno ricorrono i 70 anni dalla morte del famoso gesuita, peleontologo e filosofo francese

Pierre Teilhard de Chardin è il gesuita, teologo, scienziato e paleontologo francese che ha contribuito a rivoluzionare la teologia moderna, mostrando il legame esistente fra scienza e fede, tra evoluzionismo e misticismo. Ragione e spirito, da sempre due istanze ritenute diametralmente opposte, si incontrano nel pensiero di quest’intellettuale, il quale ha provato per tutta la vita a dare risposte alle grandi domande che attanagliano l’umanità, credendo nella forza unitiva dell’amore. Nato il 1° maggio 1881 al Castello di Sarcenat (Auvergne) nel comune di Orcines in Francia, Pierre inizia a frequentare l’Ordine dei Gesuiti fin dall’età di 11 anni, ricevendo una giusta e adeguata formazione che lo porterà ad abbracciare la vita religiosa. Contestualmente ai suoi studi teologici a Jersey, si interessa alla natura animale e vegetale e alle scoperte in campo fisico. Un certo impatto su di lui è esercitato dalla teoria evoluzionistica di Bergson, che propone una soluzione al problema della dualità tra materia e spirito, concependo quest’ultimo come tutto ciò che è in grado di far emergere da sé una novità che prima non esisteva, inserendola fra le rigide maglie della materia. In questo modo materia e spirito altro non sono che due direzioni dello stesso slancio creatore, due sensi della vita o due dimensioni della medesima realtà. De Chardin si rende conto che l’apertura nei confronti della scienza non rappresenta un ostacolo alla sua missione sacerdotale, bensì un’espansione del suo essere. Il suo incarico di docente di fisica e di chimica, presso il collegio gesuitico al Cairo, gli permette di fare le sue prime ricerche concrete e di scoprire la presenza di Dio nel mondo. Dice infatti “e fu l’Oriente intravisto e bevuto avidamente nella sua luce, nelle sue forme e nei suoi deserti…..Il Mondo si crea ancora e in lui è il Cristo che si compie. Quando ebbi inteso e compreso questa parola, contemplai, e mi accorsi come in un’estasi che attraverso tutta la natura mi ero tuffato in Dio“. Ordinato sacerdote nel 1911, prova a creare una sintesi tra le nuove frontiere scientifiche e le vedute religiose del suo tempo, per molti versi chiuse in una rigida ortodossia, compiendo le sue prime analisi nel laboratorio del paleontologo parigino Marcelin Boule. L’esperienza come portaferiti, durante il primo conflitto mondiale, è così determinante da accendere in lui la scintilla della genialità e della vera spiritualità, che traspare nei primi scritti inviati alla cugina Margherita. Questi sono gli anni in cui si chiede come si possano conciliare l’amore per il cosmo e la ricerca del Regno di Dio. Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Naturali viene inviato a Tien Tsin in Cina, dove lavora in un laboratorio che ha stretti rapporti con quello parigino di Boule, e grazie al quale prende parte a varie spedizioni paleontologiche. Tornato in Francia riprende le lezioni all’Istituto Cattolico, tiene cicli di conferenze e, su richiesta di alcuni teologi di Lovanio, scrive dei testi nei quali propone il bisogno di trovare un punto di incontro tra il dogma del peccato originale e le scoperte paleontologiche, senza avanzare pretese dogmatiche ma esprimendo delle pure riflessioni personali. I suoi scritti giungono a Roma e, nel giro di poco tempo, arriva la sua espulsione dalla cattedra parigina. Tornato in Cina, dove trascorre 20 anni della sua vita, lavora al servizio geologico di Pechino e partecipa al rinvenimento del Sinantropo, un gruppo fossile omogeneo di ominidi attribuiti alla specie dell’Homo erectus, un tassello fondamentale dell’evoluzione umana. Sono anni in cui alterna i suoi interessi scientifici con riflessioni sull’uomo e sulla trascendenza. La sua volontà di diffondere il messaggio evangelico lo spinge a pensare che in ogni persona, anche se non credente, bisogna far emergere ciò che ha all’interno, perché tutto ciò che fiorisce porta a Dio. Rientrato in patria nel 1947, dopo alcuni problemi di salute, si dedica alla stesura di una delle sue opere più importanti, Il fenomeno umano (1938-1940), la cui pubblicazione però viene ostacolata dalla Santa Sede, che non vede di buon occhio la meditazione di Pierre circa la Rivelazione, interpretata alla luce delle moderne ricerche scientifiche. Il pensatore è costretto a rimandare la divulgazione in nome dell’obbedienza alla Chiesa, per non danneggiare l’integrità di Cristo e per mantenere l’idea di unità, pur essendo cosciente dell’appoggio e della stima da parte dei Gesuiti, che lo ritengono un confratello prediletto. Intraprende altri viaggi in America, in Sud Africa, in Rhodesia, mentre lavora ad altre opere, per poi spegnersi a New York il 10 aprile 1955, Domenica di Pasqua. A 70 anni dalla morte il suo pensiero è ancora molto vivo e attuale. Pierre ritiene che l’evoluzione non sia solo un processo biologico, ma un movimento cosmico nel quale tutta la creazione è coinvolta. Secondo lui, una forza interiore muove l’universo e lo spinge verso il “Punto Omega” che è Dio, il punto nel quale coscienza umana e divina vivono in perfetta armonia.

La sua teologia evoluzionistica consiste in uno spostamento dell’umanità, escatologicamente destinata verso il traguardo cristico (noogenesi). La mistica in cui crede de Chardin si basa sull’unificazione del cosmo ma, in particolare, sul Regno di Dio che si può conquistare, non rifuggendo il mondo ma lavorando al suo interno. Qui giocano un ruolo fondamentale l’Incarnazione e l’Eucarestia, che sono gli strumenti più elevati per santificazione l’universo intero, prima del suo ricongiungimento con il Padre. La prospettiva di questo “pensatore inquieto” va in collisione con la teoria darwiniana, perché travalica il dato meramente biologico intendendo l’evoluzione come un fenomeno globale che inizia con la materia inanimata, si estende alla formazione del pensiero e alla dimensione filosofico-teologica, per poi convergere unitariamente verso l’Omega-Dio. Le frange ecclesiastiche più conservatrici del suo tempo guardano con sospetto a questo suo storicismo, che sembra relativizzare il concetto assoluto di “dogma” che è riflesso dell’eternità divina. Paragonato a Sartre nella Parigi degli anni cinquanta, Pierre diventa oggetto di discussione a Roma ma è difeso da Henri de Lubac. Alla Chiesa, stretta attorno alla sua dottrina con manifesti quali l’Humani Generis di Pio XII (1950), il “sacerdote incompreso” – definito così da Bergoglio nel 2023 – risponde che non esistono norme rigide e date per certe. Pierre è convinto che tutto è soggetto a mutamento: il mondo, gli uomini e il pensiero-rapporto che si ha con il Signore. Il male, secondo lui, è pensare che l’ortodossia non sia soggetta a modifiche. De Chardin è stato uno dei maggiori esponenti di quella Nouvelle théologie, figlia del Modernismo, che contribuisce all’apertura della Chiesa al mondo con il Concilio Vaticano II, a partire dal quale le sue idee vengono rivalutate e riconosciute. Nell’enciclica Laudato Sì Papa Francesco scrive, ricordando De Chardin, che “il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale”. Il merito del gesuita sta nell’aver inteso, in maniera unitaria, ciò che la tradizione filosofica e teologica precedente ha sempre separato: idealismo e realismo, cosmo e terra, uno e molti, materia e spirito, monismo e dualismo. La vita spirituale non si può mai disgiungere da quella materiale degli uomini, secondo Pierre, poiché grazie all’Incarnazione la salvezza annunciata dal Vangelo è interna alla vita. La Libreria Editrice Vaticana ha dato alle stampe il libro Pierre Teilhard de Chardin. Una biografia di Mercè Prats, studiosa dei monoteismi. “Pierre Teilhard de Chardin è una delle figure più affascinanti e complesse del pensiero del XX secolo. La sua opera, che si colloca all’incrocio tra scienza, teologia e filosofia, rappresenta un tentativo audace d’integrare l’evoluzione cosmica con una visione spirituale dell’universo. Nella sua vita e nei suoi scritti emerge una sintesi originale che sfida le tradizionali dicotomie tra fede e ragione, natura e spirito, tempo ed eternità” scrive il cardinale José Tolentino de Mendonça nella prefazione.