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La condizione giovanile e il rapporto con la fede. 

La Chiesa senza i giovani muore

Intervista a don Armando Matteo, autore della trilogia di "Peter Pan". Tre saggi dedicati ad una nuova pastorale. 

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La Chiesa senza i giovani muore

La crisi di adultità nella nostra società così come nella Chiesa è un’urgenza che richiama le principali istituzioni, soprattutto quelle formative, per ritrovare i giovani e, riportarli in Chiesa. “La fatica di credere delle nuove generazioni si intreccia con questa loro fatica di crescere, la quale rinvia a quella conversione giovanilistica delle generazioni adulte che raramente affiora nelle discussioni ecclesiali e che pure sta provocando un radicale svuotamento della vita parrocchiale spicciola, che la recente pandemia ha messo ancora in maggiore evidenza. Questo perché ci sono tanti adulti fin troppo rapidamente configuratisi a immagine e somiglianza di Peter Pan”. Di questa difficile realtà abbiamo parlato con don Armando Matteo, autore del libro “Riportare i giovani a Messa. La trasmissione della fede in una società senza adulti”, edito da Ancora. Don Matteo è un sacerdote calabrese, teologo, docente della Pontificia Università Urbaniana e Segretario del Dicastero per la Dottrina della Fede.

Don Armando con quest’ultimo saggio “Riportare i giovani a Messa” si conclude la trilogia di Peter Pan. Il futuro della Chiesa è a rischio senza una nuova ripresa della trasmissione della fede alle nuove generazioni?

La questione intorno alla quale ruotano tutte le problematiche, evidenziate nella trilogia, è proprio quella della trasmissione della fede alle nuove generazioni che è messa pericolosamente in crisi dalla trasformazione radicale che le generazioni adulte hanno subito, ma anche avallato e in qualche misura propiziato. Il mondo degli adulti è quello che negli ultimi 40 anni è cambiato radicalmente, positivamente con tanti orizzonti e possibilità nuove grazie alla tecnologia, alle ricerche mediche e farmaceutiche, al benessere e al mondo economico, ma nello stesso tempo tutto ciò ha investito completamente gli adulti, che abituati ad una vita più povera si sono trovati con tante opportunità. Da qui nasce la diffusione di Peter Pan. Noi adulti vogliamo essere sempre giovani, potenti, liberi, aperti al godimento venendo meno sia alla responsabilità educativa sia alla responsabilità della trasmissione della fede. Questo punto, che per me è quello più essenziale, pone delle domande alla comunità ecclesiale. Nella trilogia cerco di mettere al centro questo aspetto: se abbiamo a cuore i giovani dobbiamo ripensare a fondo non solo le dinamiche della pastorale giovanile ma dell’intera pastorale parrocchiale.

Lei scrive che senza i giovani la Chiesa muore. Oltre ad una nuova pastorale serve anche un cambio di mentalità di chi la Chiesa la frequenta per attirare l’attenzione dei giovani e riportali a Messa?

L’occasione immediata di questo terzo saggio, dopo Pastorale 4.0 e Convertire Peter Pan, è nel notare un affievolimento dell’interesse verso i giovani, che è una cosa un po’ strana perché nel 2018 si è svolto un Sinodo dedicato ai giovani con un bel documento di papa Francesco, che però, a causa anche del Covid, quella istanza missionaria del Sinodo di andare incontro ai giovani nessuno escluso si sia un po’ indebolita, forse anche per il fatto che si pensi che visto che c’è stato un Sinodo sui giovani con i giovani abbiamo finito. Questo è sbagliato. Da una parte dunque si registra un abbassamento dell’attenzione missionaria nei confronti dei giovani e per ricavare un po’ l’attenzione focalizzo due realtà: la prima è quella che se non riprendiamo il dialogo con i giovani il rischio per la Chiesa, almeno in Occidente, è altissimo, perché si parla proprio di ricambio generazionale che non viene operato; la seconda realtà che metto in evidenza è che oggi la questione dei giovani può essere affrontata fino in fondo rendendo le nostre realtà più ospitali, più aperte ai problemi e alle domande di questi giovani, tutto questo richiede un investimento nel cambiamento di mentalità pastorale notevole, che si può risolvere con piccoli aggiustamenti.

Oggi nelle parrocchie è difficile trovare giovani adulti disponibili alla formazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, sempre più ci ritroviamo le stesse persone che lo fanno da sempre. Quale speranza per le parrocchie?

Il primo ed essenziale luogo di un cambiamento di mentalità pastorale è la parrocchia. Che ha ancora tantissime possibilità. È come i gatti che hanno sette vite. La parrocchia dunque serve ancora, ma serve una parrocchia diversa. Nei miei recenti libretti, ho provato ad indicare ben trenta cose che le parrocchie potrebbero mettere subito in atto per recuperare forza di attrazione nei confronti degli adulti e dei giovani. Detto questo, spazio grandissimo alla creatività. Dietro la parola creatività ce n’è un’altra che è la parola amore. La cosa che mi ha ferito un po’ di più negli ultimi periodi è constatare che molte volte non ci mancano i giovani che ci mancano. Questo mi pare un peccato, che noi operatori pastorali, in particolare i sacerdoti, dovremmo fare a meno ed ammettere a noi stessi e poi agli altri che i giovani ci mancano. Questo libro si ispira al discorso che papa Francesco fece in occasione della Riunione pre-sinodale svoltasi a Roma nel marzo 2018 in cui davanti ad oltre 300 giovani provenienti da tutto il mondo e anche da esperienza differenti, diceva “quanto ci mancate, ci manca qualcosa di importante, ci manca una parte dell’accesso a Dio”. Mettere in moto un processo di creatività e di riforma credo possa essere più semplice nel momento in cui facciamo più spazio a questa realtà della mancanza dei giovani. In modo positivo e un po’ provocatorio il libro mira a fare proprio questo dicendo: diamoci una sveglia, il nostro desiderio è proprio quello di riportare i giovani a Messa che è la cosa più bella che noi abbiamo. Se perdiamo i giovani mettiamo a rischio il nostro futuro. Mi ha colpito molto, nelle sintesi delle Conferenze episcopali per il Sinodo sulla Sinodalità che ho potuto leggere, l’insistenza sui giovani. È segno che ci mancano. E, questo, è un grande segno di speranza. Quando qualcuno ci manca, abbiamo lo spazio per un desiderio di cambiamento e di novità. Abbiamo lo spazio per superare quella cattiva paura che ci porta a chiuderci nel “si è sempre fatto così”. Coraggio, abbiamo e possiamo fare tanta strada incontro ai giovani che ci mancano.

Fa un po’ rabbia vedere le nuove generazioni correre dietro alla loro corporeità e non verso Dio?

Un altro degli elementi che dovrebbe spingere verso questa rinnovata azione di andare verso i giovani, sta nel fatto che le nuove generazioni oggi non stanno bene. È una sofferenza che non ha le caratteristiche del passato cioè della povertà o della mancanza di divertimento o nell’avere i beni necessari, è una sofferenza interiore. Quello che manca oggi ai giovani è proprio lo spazio per essere quello che devono essere: i giovani, questo perché gli adulti non fanno più gli adulti e ma gli eterni ragazzini. Questo crea una sofferenza interiore nel mondo giovanile che ha delle ricadute sia in una crescita serena nell’umano sia nello sviluppare quella dimensione della trascendenza che è più naturale all’essere umano. Da questo punto di vista andare incontro ai giovani significa farsi carico di questo incantamento o per usare un termine più mirato “rimbecillimento” della popolazione adulta. Questo rimbecillimento è estremamente funzionale al mercato e ad una certa cultura massmediale, è certamente funzionale ad una certa politica, perché più noi adulti ci perdiamo dentro questi miti e riti della giovinezza più siamo disponibili a spendere soldi per cose inutili, più siamo disponibili a seguire programmi assurdi e più la diamo vinta a chi non ha a cuore il bene comune. Nella Chiesa non si capisce che il problema dei giovani sono gli adulti, che gli impediscono loro di crescere nella vita come nella fede. Io invece su questo punto insisto, e non solo nella diagnosi, cioè che la mancanza di una testimonianza di un’adultità, e di un’adultità credente, è nella maggior parte dei casi all’origine del disinteresse dei giovani per la fede.

La mancanza di ascolto e di comunicazione in famiglia, tra giovani e adulti, sono le cause principali dell’isolamento nel mondo giovanile?

C’è da dire che alla base di questo c’è una rottura del dialogo intergenerazionale causata soprattutto dal mondo degli adulti. Nella misura in cui gli adulti fanno i giovani, non hanno più un feedback specifico che possa interessare i giovani. Quando i ragazzi e le ragazze di oggi guardano noi adulti cosa vedono se non brutte fotocopie di noi stessi. Siamo un falso. La differenza generazionale è la manna che fa scattare l’interesse per l’ascolto. Sicuramente c’è un problema di tanto lavoro e di interessi, ma più radicalmente andando nel profondo solo un adulto che fa l’adulto può interessare ad un giovane, questo vale a partire dai propri genitori, dai parenti, dagli insegnanti; se invece incontrando noi adulti incontrano in fondo dei discepoli della giovinezza non siamo più interessanti ed allora si ricorre al mondo del web, che è un mondo bellissimo, sconfinato dove ci sono tante cose, a volte anche pericolose, ma da questo punto di vista l’interesse per il dialogo generazionale all’interno della famiglia passa dalla parte della comunità ecclesiale nell’avere il coraggio di richiamare gli adulti a fare gli adulti. Cari genitori e cari educatori il dono più grande che potete fare ai vostri figli è fare gli adulti.

Un’espressione ci colpisce del suo saggio: “eclissi del cristianesimo domestico”. Di cosa si tratta?

Anche questo fa parte del mio stile provocatorio che cerca di stimolare al pensiero. Registro il fatto che nella misura in cui noi adulti abbiamo fatto della giovinezza il senso della nostra vita rischiamo di tradurlo in un punto religioso, facendolo diventare in un certo senso della divinità. Per noi la salvezza ha la forma di questa permanente resistenza della forma giovane dell’umano. Questo fa si che quella testimonianza cristiana che naturalmente i genitori davano ai propri figli viene meno. Eclissi del cristianesimo domestico significa che i bambini, in particolare, non riescono più ad intravedere nel corpo degli adulti, nella loro testimonianza, il riferimento a Gesù, alla Chiesa, al Vangelo, perché quel riferimento è stato completamente sostituito dalle diete, dall’attenzione alla moda dei capelli, alla forma fisica del proprio corpo, e provocatoriamente dico che assumono sempre di più una configurazione semi religiosa se non in alcuni casi propriamente religiosa. È chiaro che noi dobbiamo lavorare per ripristinare al più presto questa potenza, perché la potenza che un genitore ha sul proprio figlio è incomparabile, ma non è qualcosa che può accadere automaticamente, perché in noi adulti, si dà vita ad una forma di adultità semplicemente intransitiva, che è la negazione stessa dell’essere adulto. Se si capisce questo, si è in grado di capire la fatica di crescere e di credere dei nostri giovani.

Domenica prossima in Italia, in tutte le diocesi, si svolgerà la Gmg diocesana, in vista di quella mondiale prevista ad agosto 2023 a Lisbona. Lei avverte una trasformazione di questi incontri mondiali della gioventù?

Si, il mio augurio è che le Gmg possano diventare modello e paradigma per ripensare la vita della Chiesa. Dinanzi alla struttura che governa il modello delle Giornate mondiali della gioventù non possiamo che restarne sempre affascinati. Poi la presenza del Papa, i temi, la grande popolazione dei giovani, ci offrono sempre uno scenario bellissimo, però questi eventi mondiali della gioventù rischiano di restare un po’ chiusi in se stessi. È vero si stanno un pochino indebolendo e soprattutto non riescono a travasare una modalità di avvicinamento, di stare insieme con i giovani, di fare chiasso con i giovani nella vita parrocchiale, per cui la speranza è che queste Gmg diventino paradigmatiche per un cambiamento della pastorale giovanile.

Il libro termina con dieci indicazioni su come riportare i giovani a Messa. Ce ne anticipa qualcuna?

Ho fatto un bel plagio a papa Francesco, ma dichiarandolo. Ho individuato dieci gesti che il Papa dissemina all’interno della Christus vivit che mi sembrano un bell’itinerario per aiutare le comunità sin da subito a riportare i giovani a Messa. È chiaro che il compito più ampio sarebbe quello di riformare completamente la pastorale parrocchiale, nel frattempo qualcosa si può fare. Questi verbi, ad iniziare dal primo che è “Piangere”, invita al pianto, alle lacrime, alla vergogna per quello che la nostra società sta facendo nei confronti dei giovani; mettendoli da parte, lasciandoli in questa eterna “vita in panchina” sino all’esortazione a “fare casa” insieme con i giovani, avendoli disponibili nelle nostre chiese. Partendo dalla questione dei canti e passando da quell’invito che il Papa fa di essere sempre di più “riflesso di Gesù”, con un utilizzo anche particolare del verbo, mi pare possano essere dieci piccoli grandi passi, nell’attesa di ripensare completamente la pastorale parrocchiale, che possono aiutare a compiere dei gesti molto significativi verso un cammino nuovo, verso i giovani, non solo quelli che già fanno parte delle nostre comunità ma tutti, nessuno escluso.

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