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Eucarestia e cultura dello scarto: l'omelia di Francesco in Bolivia

Proponiamo l'omelia integrale pronunciata quest'oggi da papa Francesco a Sierra de La Cruz in Bolivia dove ha aperto il Congresso eucaristico boliviano. A partire dal brano evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il Papa ha offerto una significativa e attualizzata lettura del Pane Eucaristico alla luce dei gesti di Gesù e delle urgenze della società. "La visione di Gesù non accetta una logica, una visione che sempre 'taglia il filo' a chi è più debole, a chi ha più bisogno. Basta con gli scarti".

Parole chiave: papa francesco (321), bolivia (2), congresso eucaristico (7), eucarestia (2)
Eucarestia e cultura dello scarto: l'omelia di Francesco in Bolivia
papa cristo redentore

In questi giorni, ho potuto vedere molte madri con i loro figli sulle spalle. Come fanno qui molte di voi. Portano su di sé la vita, il futuro della loro gente. Portano le ragioni della loro gioia, delle loro speranze. Portano la benedizione della terra nei frutti. Portano il lavoro realizzato dalle loro mani. Mani che hanno plasmato il presente e che tesseranno le aspirazioni del domani. Ma portano sulle loro spalle anche disillusioni, tristezze e amarezze, l’ingiustizia che pare non avere fine e le cicatrici di una giustizia che non si realizza. Portano su di sé la gioia e il dolore della loro terra. Voi portate la memoria del vostro popolo. Perché i popoli hanno memoria, una memoria che si trasmette di generazione in generazione, una memoria in cammino.
E non sono poche le volte in cui sperimentiamo la stanchezza di questo cammino. Non sono poche le volte in cui mancano le forze per mantenere viva la speranza. Quante volte viviamo situazioni che pretendono di anestetizzarci la memoria, e così si indebolisce la speranza e si vanno perdendo le ragioni della gioia. E comincia a prenderci una tristezza che diventa individualista, che ci fa perdere la memoria di essere popolo amato, popolo eletto. Questa perdita ci disgrega, fa sì che ci chiudiamo agli altri, specialmente ai più poveri.
Ci può accadere come ai discepoli di un tempo, quando videro la quantità di gente che stava là. Chiesero a Gesù che li congedasse, dal momento che era impossibile dar da mangiare a tutta quella gente. Di fronte a tante situazioni di fame nel mondo possiamo dire: “Non tornano i conti”; è impossibile affrontare queste situazioni; e allora la disperazione finisce per prenderci il cuore.
In un cuore disperato è molto facile che prenda spazio la logica che pretende di imporsi nel mondo di oggi. Una logica che cerca di trasformare tutto in oggetto di scambio, di consumo, tutto negoziabile. Una logica che pretende di lasciare spazio a pochi, scartando tutti quelli che non “producono”, che non sono considerati idonei e degni perché apparentemente “i conti non tornano”. Gesù ancora una altra volta ci parla e ci dice: “Non è necessario che se ne vadano, date loro voi stessi da mangiare”.
E’ un invito che oggi risuona con forza per noi: “Non è necessario che alcuno se ne vada; basta con gli scarti, date loro voi stessi da mangiare”. Gesù continua a dircelo in questa piazza. Sì, basta con gli scarti, date loro voi stessi da mangiare. La visione di Gesù non accetta una logica, una visione che sempre “taglia il filo” a chi è più debole, a chi ha più bisogno. Accettando la “scommessa”, Lui stesso ci dà l’esempio, ci indica la strada. Un’indicazione racchiusa in tre parole: prende un po’ di pane e qualche pesce, li benedice, li divide e li consegna perché i discepoli lo condividano con gli altri. Quella è la strada del miracolo. Certamente non si tratta di magia o idolatria. Gesù, per mezzo di queste tre azioni, riesce a trasformare una logica dello scarto in una logica di comunione, di comunità. Vorrei sottolineare brevemente ognuna di queste azioni.
Prende. Il punto di partenza è che prende molto seriamente la vita dei suoi. Li guarda negli occhi e in essi capisce la loro vita, i loro sentimenti. Vede in quegli sguardi quello che palpita e quello che ha smesso di palpitare nella memoria e nel cuore del suo popolo. Lo considera e lo valorizza. Valorizza tutto ciò che di buono possono offrire, tutto il bene sulla cui base si può costruire. Ma non parla degli oggetti o dei beni culturali, o delle idee, ma delle persone. L’autentica ricchezza di una società si misura nella vita della sua gente, si misura negli anziani capaci di trasmettere la loro saggezza e la memoria del loro popolo ai più piccoli. Gesù non trascura la dignità di nessuno, con la scusa che non ha nulla da dare o da condividere.
Benedice. Gesù prende su di sé, e benedice il Padre che è nei cieli. Sa che questi doni sono un dono di Dio. Perciò non li tratta come “una cosa qualsiasi”, poiché tutta quella vita è frutto dell’amore misericordioso. Egli lo riconosce. Va oltre la semplice apparenza e nel gesto di benedizione, nel lodare, chiede al Padre suo il dono dello Spirito Santo. Benedire comporta questo duplice sguardo, da un lato ringraziare e dall’altro poter trasformare. Significa riconoscere che la vita è sempre un dono, un regalo che, posto nelle mani di Dio, acquisisce una forza che lo moltiplica. Il nostro Padre non toglie nulla, tutto moltiplica.
Dedizione. In Gesù non vi è un prendere che non sia una benedizione, e non esiste una benedizione che non sia dedizione. La benedizione è sempre anche missione, ha una finalità,condividere, il dividere insieme quello che si è ricevuto, poiché solo nella dedizione, nel con-dividere troviamo, come persone umane, la fonte della gioia e facciamo esperienza della salvezza. Una dedizione che desidera ricostruire la memoria di essere popolo santo, popolo invitato, chiamato a portare la gioia della salvezza. Le mani che Gesù alza per benedire il Dio del cielo sono le stesse che distribuiscono il pane alla moltitudine che ha fame. Possiamo immaginare come passavano di mano in mano i pani e i pesci fino a giungere a quelli più lontani. Gesù riesce a creare una corrente tra i suoi, tutti condividevano ciò che avevano, facendolo diventare dono per gli altri e fu così che mangiarono fino a saziarsi e incredibilmente ne avanzò: lo raccolsero in sette ceste. Una memoria presa tra le mani, benedetta e offerta sazia sempre un popolo.
L’Eucaristia è «Pane spezzato per la vita del mondo», come dice il motto del V Congresso Eucaristico che oggi inauguriamo e che si svolgerà a Tarija. È Sacramento di comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela e ci dà la certezza che ciò che possediamo e ciò che siamo, se è accolto, benedetto e offerto, mediante il potere di Dio, con il potere del suo amore, diventa pane di vita per gli altri.
La Chiesa è una comunità che fa memoria. Per questo, fedele al mandato del Signore, ripete ogni volta: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). Attualizza di generazione in generazione, nei più diversi angoli della nostra terra, il mistero del Pane di Vita. Lo rende presente e ce lo offre. Gesù vuole che partecipiamo della sua vita e che, attraverso di noi, essa si vada moltiplicando nella nostra società. Non siamo persone isolate, separate, ma il Popolo della memoria attualizzata e sempre offerta.
Una vita che fa memoria ha bisogno degli altri, delle relazioni, dell’incontro, di una solidarietà reale che sia capace di entrare nella logica dell’accogliere, benedire e offrire; nella logica dell’amore.
Maria, che, come molte di voi, portò su di sé la memoria del suo popolo, la vita di suo Figlio, e sperimentò in sé stessa la grandezza di Dio, proclamando con giubilo che Egli “ricolma di beni gli affamati” (cfr Lc 1,53), sia oggi il nostro esempio per affidarci alla bontà del Signore, che compie opere grandi mediante l’umiltà dei suoi servi.

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