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Francesco: abbiamo un debito di responsabilità verso i giovani

Vespri con il canto del Te Deum in Vaticano per l'ultimo giorno dell'anno, nella celebrazione di Maria Santissima Madre di Dio. Bergoglio invita a guardare il presepe e parla di integrazione.

Francesco: abbiamo un debito di responsabilità verso i giovani

Ultima celebrazione dell’anno nella Basilica Vaticana. Per papa Francesco è il momento di presiedere i primi vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio con il canto del Te Deum, l’antico inno di ringraziamento al Signore. “Mentre un altro anno volge al termine, sostiamo davanti al presepe, per ringraziare di tutti i segni della generosità divina nella nostra vita e nella nostra storia, che si è manifestata in mille modi nella testimonianza di tanti volti che anonimamente hanno saputo rischiare. Ringraziamento che non vuole essere nostalgia sterile o vano ricordo del passato idealizzato e disincarnato, bensì memoria viva che aiuti a suscitare la creatività personale e comunitaria perché sappiamo che Dio è con noi. Dio è con noi”. Una cerimonia che vive ancora della luce del Natale, come dimostrano le letture proposte per la Messa della solennità di Maria Santissima Madre di Dio. “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” – proclama il lettore. “Tutta la storia della salvezza trova eco qui: colui che non era soggetto alla legge decise, per amore, di perdere ogni tipo di privilegio – dice il Papa - ed entrare attraverso il luogo meno atteso per liberare noi che, sì, eravamo sotto la legge”. La verà novità, però, sta nel modo dell’azione di Dio. “Nella piccolezza e nella fragilità di un neonato”. “In Cristo – prosegue Bergoglio - Dio non si è mascherato da uomo, si è fatto uomo e ha condiviso in tutto la nostra condizione. Lungi dall’essere chiuso in uno stato di idea o di essenza astratta, ha voluto essere vicino a tutti quelli che si sentono perduti, mortificati, feriti, scoraggiati, sconsolati e intimiditi. Vicino a tutti quelli che nella loro carne portano il peso della lontananza e della solitudine, affinché il peccato, la vergogna, le ferite, lo sconforto, l’esclusione non abbiano l’ultima parola nella vita dei suoi figli”. Ritorna sul presepe, papa Francesco. Ricorda che esso “ci invita a fare nostra questa logica divina. Una logica non centrata sul privilegio, sulle concessioni, sui favoritismi; si tratta della logica dell’incontro, della vicinanza e della prossimità. Il presepe ci invita ad abbandonare la logica delle eccezioni per gli uni ed esclusioni per gli altri. Dio viene egli stesso a rompere la catena del privilegio che genera sempre esclusione, per inaugurare la carezza della compassione che genera inclusione, che fa splendere in ogni persona la dignità per la quale è stata creata. Un bambino in fasce ci mostra la potenza di Dio che interpella come dono, come offerta, come fermento e opportunità per creare una cultura dell’incontro. Non possiamo permetterci di essere ingenui. Sappiamo che da varie parti siamo tentati di vivere in questa logica del privilegio che ci separa-separando, che ci esclude-escludendo, che ci rinchiude-rinchiudendo i sogni e la vita di tanti nostri fratelli. Il nuovo anno è alle porte. Il Vangelo richiama l’episodio dei pastori dinanzi ai volti di Giuseppe e di Maria. “Volti giovani carichi di speranze e di aspirazioni, carichi di domande. Volti giovani che guardano avanti con il compito non facile di aiutare il Dio-Bambino a crescere”. Da qui l’amara constatazione. “Non si può parlare di futuro senza contemplare questi volti giovani e assumere la responsabilità che abbiamo verso i nostri giovani; più che responsabilità, la parola giusta è debito, sì, il debito che abbiamo con loro. Parlare di un anno che finisce è sentirci invitati a pensare a come ci stiamo interessando al posto che i giovani hanno nella nostra società”. Una sorta di denuncia. “Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani. Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano loro di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società. Ci aspettiamo da loro ed esigiamo che siano fermento di futuro, ma li discriminiamo e li “condanniamo” a bussare a porte che per lo più rimangono chiuse. Guardare il presepe – conclude papa Francesco - ci sfida ad aiutare i nostri giovani perché non si lascino disilludere davanti alle nostre immaturità, e stimolarli affinché siano capaci di sognare e di lottare per i loro sogni. Capaci di crescere e diventare padri e madri del nostro popolo.

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