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La rivoluzione silenziosa di chi è costretto a emigrare dalla nostra terra

Intervista la professor Vito Teti. Le persone vanno via, e di fatto compiono una rivoluzione nel senso che sovvertono l’ordine tradizionale. In un certo senso, l’emigrazione è una sorta di catastrofe: il mondo prima e dopo l’emigrazione è totalmente diverso

Parole chiave: emigrazione calabria (1)
La rivoluzione silenziosa di chi è  costretto a emigrare dalla nostra terra
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Assume sempre più i contorni di quello che potrebbe essere definito un ‘esodo di massa’. Si tratta del fenomeno dell’emigrazione che riguarda l’Italia intera, il Sud in particolare. Ne abbiamo parlato con il professore Vito Teti, docente di Antropologia culturale presso l’Università della Calabria.
Per qualcuno sembra che il fenomeno dell’emigrazione sia l’unica soluzione possibile. Cosa ne pensa?
L’emigrazione per la Calabria storicamente ha rappresentato una sorta di ‘rivoluzione silenziosa’ delle popolazioni che vivevano una condizione di disagio. La fuga negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ha comportato delle grandi trasformazioni sia nel luogo dell’esodo che nei luoghi di partenza. L’emigrazione da un lato è un fatto doloroso, di dispersione, di erosione dell’antico mondo, dall’altro ha aperto nuove possibilità: ha dato una nuova spinta al mutamento e ha ricreato dei mondi. Oggi l’emigrazione non costituisce più un fattore di crescita per la popolazione calabrese, nel senso che diventa, per la società che ha cresciuto le persone, un fattore di perdita perché in qualche modo il capitale economico, sociale e culturale investito qui, viene poi donato, trasferito altrove. L’emigrazione non può essere la soluzione ai problemi della nostra regione, perché l’emigrazione diventa semmai una ragione di impoverimento, di svuotamento dei paesi; il problema per la Calabria sarebbe creare le condizioni affinché le persone restino, quando lo vogliono, nel luogo in cui sono nati. Oggi, rispetto al passato, i giovani non coltivano il sogno dell’emigrazione ad ogni costo, se ci fossero le condizioni per poter realizzarsi qui, sceglierebbero senza dubbio di rimanere.
Lei ha definito l’emigrazione ‘una rivoluzione silenziosa’, perché?
Perché senza fare clamore le persone vanno via, e di fatto compiono una rivoluzione nel senso che sovvertono l’ordine tradizionale. In un certo senso, l’emigrazione è una sorta di catastrofe: il mondo prima e dopo l’emigrazione è totalmente diverso. In questo senso è una rivoluzione che non viene fatta in maniera violenta, ma attuata con la fuga in silenzio. Francesco Saverio Nitti usava l’espressione ‘o brigante o emigrante’ per dire che la possibilità per le popolazioni meridionali calabresi era scegliere prima la via del brigantaggio, e poi, terminata quella possibilità, che comunque non costituiva la soluzione ai problemi, l’altra strada che si è aperta è quella dell’emigrazione, che è pur sempre una forma di rivolta, ma silenziosa. Inizialmente non si partiva mai per rimanere via definitivamente, le persone nutrivano sempre la speranza di ritornare; in realtà poi storicamente si è visto che il ritorno era un’illusione, perché specialmente con l’emigrazione avvenuta negli anni ’50 la partenza è definitiva, e in questo caso i paesi sono stati rivoluzionato in modo negativo dal punto di vista della struttura urbana e delle relazioni.
Il nostro Paese, il Sud in particolare, è oggi interessato dal fenomeno migratorio. In che modo si inserisce l’antropologia?
L’antropologia, le scienze sociali in genere devono studiare il fenomeno, comprendere le ragioni che spingono le persone ad abbandonare il luogo di origine, capire se le motivazioni sono di natura economica, sociale, culturale, se l’emigrazione è una scelta o una costrizione; studiare i motivi per cui si verificano mutamenti nella vita delle popolazioni che partono o che rimangono. Compito dell’antropologo è studiare il fenomeno, fornire chiavi di lettura, poi le scelte devono essere fatte dai protagonisti, dalla politica, la decisione spetta a chi ha la possibilità decidere il destino della società in cui vive.
Qual è l’immagine della Calabria che oggi emerge?
La Calabria è una terra di grandi contraddizioni, di contrasti geografici, climatici, storici, antropologici. Queste contraddizioni si riflettono anche a livello di immagine e di rappresentazioni: da un lato viene vista come luogo di oziosi, di ‘ndrangheta, arretratezza; dall’altro può essere vista come luogo di grande fascino; spesso però questa mitologia non corrisponde alla realtà, perché quella calabrese è una realtà complessa e mutevole, per cui le immagini esterne dovrebbero forse condizionare di meno i comportamenti dei Calabresi. Noi non dovremmo modellare i nostri comportamenti in base a ciò che gli altri pensano di noi, ma preoccuparci di fare cose tali che gli altri abbiano un’immagine positiva di noi. La subalternità, la sudditanza alle immagini esterne spesso crea risposte retoriche, di risentimento nei confronti degli altri, e spesso si traduce in una sorta di autoassoluzione, di compiacimento per le nostre negatività. Noi dovremmo fare i conti con i nostri problemi, le ombre, i difetti, per cercare di far emergere gli aspetti più positivi della nostra tradizione culturale, per affermare un’idea di Calabria che ha prodotto una cultura alta e che è capace di presentarsi all’attenzione esterna coi suoi beni paesaggistici, culturali, archeologici; questo richiede un lavoro rigoroso da parte di cittadini ed istituzioni che si impegnano in un progetto politico di rinascita.
Quali sono gli errori commessi dai Calabresi?
Credo che debbano fare i conti con gli aspetti negativi della loro terra, affrontarli, non attribuire agli altri la responsabilità dei problemi, assumersi la responsabilità di un cambiamento e cercare di tirar fuori le positività. A volte prevale un atteggiamento che tende all’apatia, aspettano che la soluzione arrivi dall’alto o dall’esterno. I Calabresi dovrebbero muoversi in maniera concorde e progettuale, dovrebbero avere un’idea del tipo di sviluppo che serve a questa terra, dovrebbero amare questa terra, spesso l’amore viene proclamato ma non viene messo in atto. La Calabria è una regione fragile che ha bisogno di cure, deve essere messa in sicurezza perché è a rischio di alluvioni e dissesto idrogeologico. Immagino una Calabria consapevole, coi suoi abitanti legati ai luoghi e non chiusi in una sorta di angusto localismo, non autoreferenziali, ma aperti al mondo esterno.
Si è soliti pensare ai giovani come persone che non si impegnano e decidono di partire per l’estero per poi magari ritornare sconfitti al paese natio…
Credo che dovremmo creare le condizioni per far sì che chi decide di partire per fare esperienza all’estero possa farlo, creare le condizioni favorevoli per cui chi vuole restare può farlo. Certo, chi è partito può scegliere di ritornare, deve ritornare non solo perché è sconfitto, ma perché comprende che ciò che vorrebbe realizzare può essere fatto nella terra natia: il ritorno non lo vedrei necessariamente come una sconfitta o una rinuncia, spesso si tratta di una scelta dettata dall’amore di chi non si è mai realmente staccato dalla terra d’origine, ha voluto fare esperienza in un altro Paese e poi ritorna, ma è un ritorno consapevole: si torna non per rassegnarsi ma per cambiare il mondo, da questo punto di vista chi resta compie un gesto rivoluzionario.

Il 20% della popolazione calabrese è all’estero

La maggioranza dei calabresi che vivono all’estero sono originari della provincia di Cosenza. Il dato è riportato nel Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes dello scorso anno. Leggendo i dati del documento – l’unico in Italia sul tema emigrazione – risulta che la regione Calabria ha oltre il 20% di popolazione residente fuori dall’Italia. Una altra regione fuori dai confini nazionali senza contare coloro che hanno lasciato la Calabria per altre regioni italiane.
Oltre quattrocentomila sono infatti i calabresi con passaporto italiano che vivono all’estero secondo il dato della Migrantes dal quale emerge come tra i primi 25 Comuni italiani con una maggiore presenza di cittadini italiani residenti all’estero c’è il comune di Corigliano Calabro (oggi unito a Rossano) con circa 10mila presenze. Leggendo il volume, con una sguardo alla nostra regione, emerge il Comune di Morano, nella provincia di Cosenza, che registra il più alto numero di cittadini residenti all’estero in rapporto alla popolazione residente. Infatti, su 4.424 abitanti 2.639 sono iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli Italiani residenti all’Estero: il 59,7% dei residenti. Segue Cariati, che su 8.172 abitanti ha ben 4.402 cittadini che risiedono all’estero, il 53,9%. E poi Fuscaldo, San Marco Argentano, Roggiano Gravina. In Calabria la maggior provincia con italiani all’estero abbiamo detto che è Cosenza (167.939) seguita da Reggio Calabria (92.768), Catanzaro (66114), Vibo Valentia (50513) e Crotone con 28.398. Oltre Corigliano Calabro, i Calabresi presenti all’estero provengono da Lamezia Terme con circa 9mila persone, Reggio Calabria con oltre 8mila, San Giovanni in Fiore con 6mila e Mesoraca con circa 5000. I Calabresi vivono in maggioranza in Argentina (98.687), Germania (76.457), Svizzera (50.897, Francia (35.918) e Australia 27.597. (Raffaele Iaria)

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