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Monsignor Serafino Sprovieri, una vita segnata dalla morte dell'Io

Uomo allo spirito oblativo, innamorato della Madonna e aperto completamente al Mistero. Una riflessione a cinque anni dalla morte.

Monsignor Serafino Sprovieri, una vita segnata dalla morte dell'Io

Henri Bergson diceva che la prova dell’esistenza di Dio sta nel fatto che tutte le religioni possiedono la mistica. Probabilmente è proprio la mistica il tratto dominante del cammino umano e spirituale di Serafino Sprovieri,

“La sua vita – infatti - fu segnata dalla morte del suo io”. Questa è la provocazione che ancora si avverte sovente - nonostante cinque anni siano già trascorsi - da quel 2 gennaio 2017 “dies natalis” di mons. Serafino Sprovieri.

La fede per Serafino non fu mai un gioco emotivo, una compensazione del suo io come tendiamo, oggi, a viverla nella nostra condizione di uomini massificati, ma fu destezza personale. Ebbe una fede fatta silenzio dell’io onde si compisse la Parola di Dio su di Lui. Per questo fu pastore e maestro intensamente e totalmente. Non timbrò mai nulla con il suo io.

Nella sua lunga esistenza ha testimoniato con gioia il vangelo e servito docilmente la Chiesa, è stato un pastore sollecito, totalmente dedito alle necessità e al bene dei sacerdoti e dei fedeli tutti. Colpiva in lui il permanente sorriso, espressione di una umanità contagiosa, riverbero della tenerezza di Gesù e di Maria Santissima verso tutti coloro che incontrava e con eccezionale pazienza salutava ad uno ad uno.

Questo spirito oblativo ha dato senso alla sua storia minuscola, rendendola tempo e luogo di salvezza, cioè di amore per tanti fratelli. Nella sua quotidianità non c’è mai stata superficialità, né retorica, ma tutto era riferito all’Amore che ispirava la sua offerta, i suoi pensieri, le sue opere.

Sulla scia della tradizione agiografica calabrese, fu innamorato di Cristo, e cercò di conformarsi a Lui nell’esistenza, di imitarlo e seguirlo assimilandone lo spirito. L’amore appassionato di Cristo lo traduceva soprattutto in preghiera. La sua pietà eucaristica fu centrale nella sua spiritualità, e la vita di comunione con lui si concretizzò in una consuetudine di adorazione presso il Tabernacolo.

Pertanto, un’analisi del suo vissuto è molto importante, se si pensa che, attraverso questa via si può raccogliere un messaggio su Dio che va ben oltre ciò che è possibile attraverso la sola via concettuale.

Lo studio delle sfaccettature esperienziali in una grande varietà di persone come Serafino è fonte di un vero arricchimento nella conoscenza della legge ascensionale della comunione con Dio. Ed è questo l’itinerario che la teologia è chiamata a percorrere per far sì che il messaggio cristiano non sia solo “informativo”, ma “performativo”, cioè, capace di parlare al cuore dell’uomo mediante una comunicazione che ne illumini il senso e ne cambi la vita. 

Nella Novo millennio ineunte, promulgata dal Pontefice santo al termine del Grande Giubileo del 2000, si afferma: “È ora di riproporre a tutti con convinzione “una misura alta” della vita cristiana ordinaria” (n.31). La vita di Serafino, dunque, mi sembra una finestra aperta sul Mistero. È la testimonianza di un cuore che pian piano è stato, per dirla con san Paolo, ghermito da Cristo, per indurci ad entrare sempre più profondamente nel mistero di Cristo.

Il suo lascito darà ancora molto alla Chiesa, a tutti i cattolici, ma anche ai molti laici con cui don Serafino ha saputo entrare in dialogo.

Mi piace concludere battendo la via della Pasqua: l’evangelista Giovanni narra l’effetto delle apparizioni del Risorto nell’esperienza dei suoi discepoli: “Gioirono al vedere il Signore”. Ora anche tu Lo vedi in pienezza. Ed è questa la tua gioia eterna.

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