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Il degrado ambientale tra reato e peccato

Tra reato e peccato esiste un rapporto di inclusione ed esclusione reciproca: non ogni peccato costituisce reato ma certamente ogni reato è un peccato, anche se oggi questa consapevolezza appare indebolita. Come dire che sfera morale e giuridica vanno distinte ma non sono del tutto separate perché se la tutela del bene (della persona umana, della vita, dell’ambiente) appartiene ad un interesse e ad un principio pubblico fondamentale, risponde anzitutto ad un principio di consapevolezza e responsabilità morale. Negli ultimi anni, di fronte al rischio di catastrofe ecologica sembra essersi rafforzata la sensibilità ambientale.

Il degrado ambientale tra reato e peccato

Per l’ordinamento italiano, dallo scorso maggio i crimini contro l’ambiente non costituiscono più illeciti ma configurano cinque reati: inquinamento, disastro ambientale, impedimento dei controlli, omessa bonifica, traffico di materiale radioattivo. Il Codice di diritto canonico, invece, pur ritenendo la materia oggetto di peccato, non considera delittuose le fattispecie di violazione dell’ecologia ambientale e non prevede quindi per esse sanzioni penali, rinviando la responsabilità individuale al foro interno. Insomma la dottrina cattolica e l’ordinamento canonico ritengono più efficace fare leva sulla comune responsabilità verso l’ambiente che nasce dal mandato divino all’uomo di essere, come ammonisce Papa Francesco nella Laudato si’ , “amministratore responsabile” del creato e non “signore dell’universo”.

Al tema “Ambiente e creato nel diritto canonico” è dedicato un saggio di Gaetano Dammacco, docente di diritto ecclesiastico e canonico presso l’Università di Bari, ospitato nel volume “Cibo e ambiente. Manipolazioni e tutele nel diritto canonico” (ed Cacucci 2015) insieme ad uno studio su alimentazione e diritto canonico di Carmela Ventrella. Un capitolo della riflessione è dedicato alla questione del degrado ambientale distinguendo tra reato e peccato perché, ci spiega Dammacco, “ordinamento statale e diritto canonico nascono da due impianti concettuali diversi”. Per la dottrina cattolica, e per il diritto canonico, l’aspetto più rilevante “ è il rapporto con Dio, con le cose create e le relazioni degli uomini tra di loro”. In questo orizzonte, “il peccato, inteso come rottura della relazione con Dio, è più grave della trasgressione penale. L’ordinamento canonico, sistema molto più complesso di quello statale che non sempre considera la ‘restitutio ad integrum’”, ha come obiettivo primario “la salus animarum e la ricomposizione del rapporto con Dio”. L’indicazione dottrinale è pertanto quella di “realizzare la salvaguardia del creato attraverso un sistema normativo di riconciliazione piuttosto che sanzionativo”.

A pensarci bene, al di là dei diversi ordinamenti, il punto della questione risiede nella volontà di dominio dell’uomo non solo sull’ambiente, ma anche sulla sua stessa vita e persona. Anzi, le modalità con cui tratta il creato rispecchiano le modalità con cui si rapporta a se stesso. “Tutto è connesso”, ricorda Papa Francesco nella “Laudato si’” sottolineando che il cuore del problema è antropologico e la risposta può risiedere solo in una “ecologia integrale”, inseparabile dalla nozione di bene comune, che compendi in sé le dimensioni umane e sociali. Eppure è oggi davanti agli occhi di tutti una sorta di aporia: si invoca una regulation sempre più stringente per tutelare l’ambiente – anche se i comportamenti stentano a cambiare – mentre si sta lentamente scivolando verso una sostanziale deregulation di ciò che riguarda la persona (e la famiglia). Forse occorre riformulare le questioni comprendendole nel loro significato reale, e per quanto riguarda l’ecologia, ossia la tutela della casa comune, ritornare anzitutto alla concezione di persona da rispettare in quanto tale, perché dai doveri verso la persona discende quello verso l’ambiente. Se viene meno il sentire che “obbliga” alla cura della vita dal concepimento alla morte naturale e se si ritiene lecito sacrificare embrioni umani alla ricerca, perché stupirsi se la coscienza comune finisce per smarrire il concetto di ecologia umana, e quindi anche di ecologia ambientale?

Un male gravissimo come l’aborto – anzi “un crimine” e “un male assoluto” come ha ribadito il 18 febbraio il Papa nel volo che da Ciudad Juárez lo riportava a Roma al termine del viaggio apostolico in Messico – è “derubricato” a diritto, e non pochi i cattolici lo percepiscono non più come peccato ma come “male minore” all’insegna dell’ “io non lo farei mai, però per certe persone in particolari situazioni può essere l’unica strada”. In altri termini, una sorta di scialuppa di salvataggio in situazioni estreme. Ma non si corre così il rischio che la capacità di giudizio e la coscienza collettiva anneghino in una sorta di melassa o si perdano in una terra di nessuno? Cosi da legittimare presunti diritti e libertà? Solo che per non ridursi ad arbitrio, la libertà dovrebbe inquadrarsi in un contesto etico e giuridico capace di orientarla verso il bene comune. E si torna ancora una volta alla “Laudato si’” e alla “coraggiosa rivoluzione culturale” auspicata dal Pontefice. Punto di partenza, una antropologia misericordiosa.

Fonte: Sir
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