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Dietro il calo della partecipazione politica

Più si depreca, più la partecipazione alle elezioni cala. E’ un circuito retorico a somma zero. Allora forse dobbiamo porci una domanda politicamente scorretta: se forse il calo della partecipazione non sia voluto, ovvero non sia altro che la logica conseguenza di un processo. Abbiamo oggi i mezzi e le tecnologie per investire invece sul continuum della partecipazione e sulla pluralità delle forme che essa può assumere, reagendo alla tendenza a restringere la partecipazione al momento elettorale, gestito con criteri consumistici.

Dietro il calo della partecipazione politica

Lo hanno confermato anche le primarie del Pd: cala la partecipazione, come si vede ormai di elezione in elezione. Più si depreca però, più la partecipazione alle elezioni cala. E’ un circuito retorico a somma zero. Allora forse dobbiamo porci una domanda politicamente scorretta:

se forse il calo della partecipazione non sia voluto, ovvero non sia altro che la logica conseguenza di un processo.

In realtà se la partecipazione al momento elettorale è un solo fatto puntuale e isolato, che motivo c’è, alla lunga, perché non si restringa a coloro che sono più o meno direttamente coinvolti nell’arena elettorale, ovvero, nel crudo linguaggio della scienza politica, ai portatori di interesse?
In realtà nel tempo di quella che è stata chiamata “democrazia del pubblico”, la partecipazione elettorale è sempre più funzionale a investiture dirette o a scelte binarie, quasi fosse un “televoto”. Questa partecipazione d’investitura può sedurre quando al cittadino elettore si prospetta di potere scegliere direttamente il vertice dello stato o del governo. All’opposto può sedurre quando può permettere al cittadino elettore di esprimere invece la propria protesta. Ma senza un prima e un dopo, senza un contesto e senza soggetti collettivi forti, la partecipazione d’investitura sfarina:

e crescono quelle che un grande politologo europeo di Yale, recentemente scomparso, Juan Linz, chiamava le “frustrazioni politiche” dei cittadini. Che, diceva lo stesso autore, non sono peraltro necessariamente disfunzionali alla gestione del potere. Anzi.
In realtà, se non si può ritornare ad un’età dell’oro che non esiste – e comunque la regressione non è ammessa nella storia – occorre quantomeno porsi il problema in termini realistici e progettuali.
Se manca un prima e un dopo, se manca una soggettività forte nella società, la forma della partecipazione (peraltro appunto decrescente) limitata al momento elettorale (anche nella forma tribunizia della protesta) rischia solo di amplificare un tendenza accentuatamente individualista che forse nel breve può sedurre, ma che non porta risultati sistemici. Abbiamo oggi i mezzi e le tecnologie per investire invece sul continuum della partecipazione e sulla pluralità delle forme che essa può assumere, reagendo alla tendenza a restringere la partecipazione al momento elettorale, gestito con criteri consumistici.
Nei giorni scorsi si è sviluppato, sulle pagine del” Corriere della Sera”, un interessante dibattito, aperto da Ferruccio de Bortoli, cui ha articolato una prima risposta la ministra delle riforme istituzionali, Maria Elena Boschi. In realtà, se è difficile dare risposte, quantomeno è opportuno porsi le giuste domande, e così innescare dei processi o quantomeno delle discussioni, ancor di più in questo momento costituente, in Italia e in Europa. In un inglese facile facile la democrazia è stata giustamente definita “government by discussion”. Senza questa ogni scorciatoia lascia comunque il tempo che trova.

Fonte: Sir
Dietro il calo della partecipazione politica
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