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Lo sterminio di questa popolazione svela una triste pagina della storia del XX secolo

La storia degli armeni. Tra il ricordo del genocidio del 1915 e la fuga dal Nagorno-Karabakh

In questi giorni stiamo assistendo alla fuga dei profughi armeni dal territorio conteso del Nagorno-Karabakh, ora controllato dall’Azerbaigian. Circa in 100 mila hanno già lasciato quest’enclave, anticipando così una tragedia immane che rischia di passare inosservata agli occhi dell’Europa e delle Nazioni Unite, che continuano a mostrare la loro impotenza dinnanzi ad un esodo incontrollabile e dai risvolti inquietanti. Gli armeni fuggono per timore di una pulizia etnica, temendo dure ripercussioni da parte azera, mentre l’Armenia, dal canto suo, rischia un attacco da parte dell’Azerbaigian con l’aiuto della Turchia.

Vogliamo ripercorrere, in breve, un po’ di storia che ha segnato la popolazione armena, vittima dell’odio da parte di altre nazioni.  

La storia degli armeni. Tra il ricordo del genocidio del 1915 e la fuga dal Nagorno-Karabakh

108 anni fa si è consumato il massacro di massa degli armeni, barbaramente uccisi dai turchi ottomani negli anni della prima guerra mondiale. Questa strage è sempre stata fonte di imbarazzo e vergogna da parte della Turchia, sostenitrice di una posizione negazionista nei confronti di un fatto storico che provoca solo ribrezzo e rabbia, disgusto e condanna.   

Lo sterminio armeno ha luogo nel secondo decennio del XX secolo, in quegli anni schizofrenici in cui scoppia la Grande Guerra e si avvicendano numerose rivoluzioni nazionaliste, giustificate dalla volontà di avviare un processo di modernizzazione del tessuto sociale e di coinvolgimento diretto delle masse popolari nelle istituzioni politiche di vari paesi. Ciò che contraddistingue queste rivoluzioni è la loro portata nazionalista, che risveglia un forte senso di appartenenza e di patriottismo da parte delle masse. Alla causa nazionalista si accompagna il tentativo di avviare riforme democratiche e di pianificare l’economia in senso socialista. L’eco della rivoluzione risuona anche nei paesi musulmani, tra cui la Turchia.

L’impero ottomano ha una forte tradizione sunnita e ortodossa, che tende a far coincidere potere temporale e potere spirituale, politica e religione. Il sultano riveste anche il ruolo di califfo, cioè successore del Profeta Maometto, nonché capo religioso supremo dell’Islam sunnita. I veri portatori dell’idea di modernizzazione nel mondo turco sono sia gli ufficiali dell’esercito, i quali devono confrontarsi con la forza e la superiorità delle grandi potenze occidentali, che i funzionari statali sempre più incaricati di accentrare i poteri. Il rafforzamento degli apparati statali e militari turchi diventa necessario e urgente sin dalla seconda metà dell’Ottocento, allo scopo di opporre una strenua resistenza ai possibili attacchi dei nazionalismi balcanici e delle potenze europee. Nell’impero ottomano, da sempre privo di libertà costituzionali, si affermano i “millet”, veri e propri corpi intermedi rappresentativi delle diverse comunità religiose in grado di assicurare forme di autogoverno. Il progressivo consolidamento dello stato alla fine dell’Ottocento depotenzia questi “millet”, rende più ambiguo e odioso il potere del sultano e accresce, invece, i poteri della burocrazia statale civile e militare. In seguito alla sconfitta ricevuta dalla Russia negli anni Settanta dell’Ottocento, il sultano turco concede la costituzione, sulla scia delle dure pressioni internazionali, ma la sospende dopo qualche mese ripristinando il potere assoluto. Nasce allora il movimento nazionalista dei <<Giovani Turchi>>, con base a Salonicco, che si batte a favore dei diritti costituzionali e vuole risollevare le sorti della Turchia, riportandola ad essere un grande paese capace di tenere testa alle potenze occidentali, da cui subisce costantemente umiliazioni diplomatiche e militari. Tuttavia la crisi del governo di Istanbul è inevitabile e nel 1908 scoppia la rivolta, che costringe il sultano a ripristinare la costituzione del 1876. Da quel momento in poi il potere passa in mano ai militari e il sultano viene esautorato. Sin dalla seconda metà dell’Ottocento, il sultano, forte del suo potere religioso, prova a contrastare il nazionalismo dei <<Giovani Turchi>>, in nome della difesa dell’ortodossia religiosa. La rivoluzione turca assume quindi una tinta marcatamente laica, mentre la controrivoluzione osteggiata dal sultano è chiaramente religiosa. Il potere politico turco mobilita le masse popolari a favore dell’ortodossia religiosa, facendone scaturire una crisi generale di tutto il regime. In questo clima particolarmente acceso è necessario andare alla ricerca di un capro espiatorio a cui addossare tutte le colpe, al fine di difendere i propri valori nazionali e religiosi. Questo capro espiatorio è il popolo armeno. Negli anni Ottanta, mentre gli ebrei iniziano ad essere crudelmente perseguitati e uccisi in Russia, in Turchia gli armeni subiscono una serie di massacri, prima nel 1894 e poi nel 1896 per mano del sultano Abdul Hamid II. La piccola comunità armena, che gode del suo “millet” ben distinto da quello greco-ortodosso, è composta da mercanti e professionisti stanziati nell’area anatolica fin dal 7° secolo a.C. Vengono accusati di essere agenti del vicino nemico russo e di guardare con interesse al mondo occidentale. Sono di fede cristiana, vivono in comunità coese e sparse in tutto l’impero ottomano e la loro terra d’origine, l’Armenia, a sud del Caucaso, si trova al confine tra Turchia e Russia. Negli anni del primo conflitto mondiale, il movimento nazionalista dei Giovani Turchi, al potere sin dal 1908, si macchia di un terribile genocidio nei confronti degli stessi armeni, che vengono deportati e sterminati tra il 1915 e il 1923. La motivazione del genocidio va ricercata nell’ideologia panturchista dei Giovani turchi, determinati a riformare lo Stato su basi nazionaliste, puntando sull’omogeneità etnica e religiosa. Gli armeni cristiani, che hanno abbracciato l’idea dello Stato di diritto occidentale, rappresentano un pericolo alla realizzazione del disegno governativo, a causa delle loro richieste di autonomia. L’ala più intransigente del Comitato Centrale del partito dei Giovani Turchi architetta un progetto genocidario, con l’ausilio della struttura paramilitare nota come Organizzazione Speciale (O.S.), diretta dai medici Nazim e Chakir, in collaborazione con i Ministeri della Guerra, dell’Interno e della Giustizia. Tra gli esecutori materiali di questa tragedia umanitaria si annoverano i nomi di Talaat, Enver, Djemal. I turchi nazionalisti mirano a cancellare l’intera comunità degli armeni, rapinando i loro beni e le loro terre. Oltre un terzo degli armeni residenti nell’impero Ottomano (circa 1.500.000 persone) perde orribilmente la vita. Il 24 Aprile 1915 i notabili armeni di Costantinopoli vengono arrestati, deportati e massacrati. Molti bambini sono costretti a islamizzarsi, le donne vengono inviate negli harem, i maschi vengono costretti ad arruolarsi nell’esercito e a prendere le armi. Seguono le violenze sulla popolazione civile, la marcia verso il deserto di Der-Es-Zor, dove non vi è nessuna possibilità di sopravvivenza, le depredazioni, la reclusione nelle caverne, l’annegamento e la morte nel fiume Eufrate e nel Mar Nero.

Quest’atto vile ed esecrabile è l’estremo tentativo dei nazionalisti di dimostrare che la rivoluzione trova la sua ragion d’essere nell’alveo della tradizione islamica, come garanzia dell’unità nazionale contro una piccola minoranza ritenuta sospetta, e sotto le spinte di un processo di modernizzazione laico delle strutture politiche che, in realtà, risulta essere solo superficiale se non del tutto fallimentare. Le forze militari portano al potere la figura di Mustafa Kemal (Atatürk), modernizzatore laico e promotore di una rivoluzione anti-islamica, che completa e avalla l’opera dei Giovani Turchi con altri massacri, negando al contempo la responsabilità di questi crimini efferati.

Tra gli storici turchi ci sono sempre stati molti negazionisti che si sono rifiutati di ammettere l’esistenza di questa triste pagina della storia del XX secolo. Tuttavia la testimonianza di alcuni “Giusti” ha fatto conoscere a tutto il mondo una scomoda verità. Tra questi bisogna ricordare il tedesco Armin Theophil Wegner, che ha combattuto tutta la vita per i diritti umani, divulgando materiale clandestino sotto forma di foto, diari e appunti per far conoscere il triste destino degli armeni, e l’italiano Giacomo Gorrini, che ha predisposto un attento studio sull’Armenia, dando il suo contributo affinché a questo popolo venisse riconosciuta la sua patria.

Nel 2021 il presidente americano Biden ha ufficialmente riconosciuto il genocidio degli armeni, con una dichiarazione preparata in occasione dell’allora 106° anniversario dall’inizio di questo massacro nel 1915. È in assoluto il primo presidente statunitense ad aver riconosciuto un evento storico di così enorme portata e gravità, sottolineando il suo impegno a favore della lotta per i diritti umani, pur consapevole delle forti tensioni che ne deriveranno tra Ankara e Washington. Gli Stati Uniti hanno accolto negli anni circa due milioni di armeni-americani, discendenti dei sopravvissuti allo sterminio, offrendo loro accoglienza e riscatto sociale.

La storia degli armeni. Tra il ricordo del genocidio del 1915 e la fuga dal Nagorno-Karabakh
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