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Il manufatto reca un’iscrizione votiva che rimanda al culto della dea Hera Lacinia venerata a Crotone

L’ascia di kyniskos, un caso di scippo culturale

Tanti i tentativi compiuti dal Comune di San Sosti per chiedere la restituzione del prezioso oggetto al British Museum

L’ascia di kyniskos, un caso di scippo culturale

La storia del nostro patrimonio culturale è segnata da diversi casi di trafugamento di opere d’arte e di reperti archeologici. Tra i preziosi oggetti illecitamente sottratti all’Italia vi è “l’ascia di Kyniskos”, “scure letterata” (o iscritta) o “ascia votiva” di tradizione magnogreca, prodotta in Calabria, datata indicativamente tra il 530 e il 20 a.C., lunga meno di 20 cm e lavorata in bronzo. Appartiene alla leggendaria storia di Sibari, fondata nell’VIII secolo da un gruppo di Achei del Peloponneso e distrutta nel VI secolo dai Crotoniati nella battaglia di Nika. Il British Museum acquistò questo reperto nel 1884 da Alessandro Castellani, membro della dinastia romana di orafi e antiquari, avvezzo al traffico abusivo di manufatti archeologici. È lunga la storia del ritrovamento di quest’oggetto che è diventato un ennesimo caso di “scippo culturale”, suscitando l’attenzione di ricercatori ed epigrafisti. Alcune fonti ottocentesche, tra cui quella del canonico calabrese Leopoldo Pagano (1815-1862), riferiscono che l’ascia fu scoperta a Casalini della Porta o Casolari della Porta della Serra nel circondario di San Sosti (Cosenza) nel 1846. Qui vi erano i resti dell’antica città di Artemisia, non molto lontana dal Santuario della Madonna del Pettoruto a San Sosti, sul versante sud-ovest del Pollino. Questo sito doveva essere molto frequentato in epoca magnogreca, essendo posizionato lungo l’istmo che connette lo Jonio al Tirreno. Artemisia, probabilmente, coincideva con la città di Artemision, appartenente all’antico popolo degli Enotri e finita sotto l’influenza di Sibari, come riporta il geografo del VI secolo Ecateo di Mileto. Nel 2004 furono condotti degli scavi nella Chiesa del Carmine a San Sosti, che riportarono alla luce fosse votive piene di oggetti in miniatura e frammenti di statuette femminili, tipiche di un luogo di culto di tradizione greca arcaica. Si pensò che fosse questo il luogo originario del rinvenimento della nota ascia. La frequentazione di quest’area, sin dal XIII secolo a.C., è attestata anche dalla scoperta di pezzi di ceramiche micenee e frammenti di ceramiche enotrie dell’XI secolo a.C., oltre che dalla presenza nei pressi del Castello della Rocca di vasetti votivi del VI-V secolo risalenti al periodo greco. Altre fonti attestano che la scure doveva essere ben nota perché venne raffigurata, nel 1852, in un disegno dello studioso vibonese Vito Capialbi, pubblicato dall’archeologo napoletano Giulio Minervini sul “Bullettino Archeologico Napoletano” (1852-1853), e apparso anche nel 1857 sulla rivista “Poliorama Pittoresco”. Presenta, all’altezza del foro, un’elaborata decorazione con baccellature, perline e una sagoma stilizzata che rievoca una figura alata in posizione frontale (forse una sfinge). Reca incisa sulla lama una dedica votiva in caratteri dorici e achei che recita così: “Sono sacra proprietà di Hera nella pianura: Kyniskos il macellaio mi ha dedicato, come decima dei suoi lavori”. Tante le ipotesi sull’identità del donante: un macellaio, un vittimario preposto ai sacrifici animali o un pugile proveniente dalla città greca di Mantinea, già vincitore dell’Olimpiade a metà del VI secolo a.C. e di cui lo scultore Polikletos ne commemorò la memoria con una scultura bronzea. Pagano, nella sua “Monografia di Mottafollone Napoli 1857”, sostiene che l’origine della manifattura è riconducibile alle fabbriche della città di Sibari, come indicato ancora oggi nell’etichetta del reperto all’interno del museo britannico. Il religioso specifica, inoltre, che la dedica sull’ascia è indirizzata alla dea Hera Lacinia venerata a Crotone, dove vi era un tempietto in suo onore. Molti studiosi ritengono che doveva esserci uno stretto legame tra questa divinità, avente un aspetto guerresco, armata di scudo e nota per essere la protettrice dei pascoli e della fertilità, e la marziale dea Hera di Argo. L’analogia tra le due sta anche nella condivisione dell’epiteto Hoplosmia (“signora delle armi”). Ai tempi del canonico Pagano la scure doveva trovarsi ancora a San Sosti e doveva avere un notevole valore, perché lui stesso ne parla nei suoi scritti esaltandone la bellezza e il legame con la cultura magnogreca, sotto la quale sorsero Metaponto, Sibari, Crotone e altre città enotrie. Riferisce nel 1857 che il manufatto non doveva essere destinato a fini bellici ma doveva essere un sacro donario, “un voto che gli Artemisiesi offrirono nel tempio o edicola di Hera”. In seguito si persero le informazioni certe e iniziarono a circolare varie voci: alcune riferirono che un signorotto locale senza scrupoli, un certo Isidoro La Cava, ex Sindaco del paese, la vendette, altre dissero che fu portata nel Museo Borbonico a Napoli per tradurne l’epigrafe e che poi sparì improvvisamente. Nel 1884 finì nella collezione romana di Alessandro Castellani, che la tenne con sé a Napoli e poi a Roma, prima di essere messa all’asta presso l’Hotel Drouot di Parigi dove fu comprata da Sir Charles Thomas Newton, archeologo e funzionario del Dipartimento delle Antichità del British Museum. È anche possibile che Castellani avesse acquistato il reperto direttamente a San Sosti o che, per interessi economici, ne fosse venuto in possesso a Napoli violando il decreto borbonico, che vietava di esportare fuori dal Regno di Napoli qualsiasi oggetto di valore storico. Fino al 2008, presso il British Museum, l’etichetta che accompagnava l’ascia indicava la Campania come regione di origine. Fu l’avvocato di San Sosti, Vincenzo De Luca, seguendo le indicazioni fornite dall’archeologa Paola Zancani, che riuscì a far correggere l’errore e a far riportare la vera dicitura del paese di origine, cioè “Casalini di S. Sosti” al posto di “Casalini di S. Agata”. Da oltre 30 anni il comune di San Sosti nel Cosentino sta cercando di chiedere la restituzione, tramite il Ministero dei Beni Culturali, della preziosa ascia votiva di Kyniskos, giunta illegalmente a Londra. Si tratta di un cold case mai risolto che provoca stupore e, in parte, indignazione. Venerdì 5 aprile, nella sede della Fondazione Premio Sila, è stato presentato il libro “Casi freddi: La <<scure letterata>> e le sue peregrinazioni: dalla Calabria al British Museum” di Gino Famiglietti (casa editrice Scienze e Lettere commissionaria) il quale, dialogando con Fabrizio Sudano, direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, e con Battista Sangineto, docente all’Unical, ha ricostruito la vicenda dell’antico reperto offrendo spunti di riflessione e lasciando sperare in un possibile recupero dell’oggetto trafugato.

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