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Gerusalemme sotto le bombe si appresta a celebrare la Santa Pasqua

Gerusalemme è il paradigma della storia

Gerusalemme sotto le bombe si appresta a celebrare la Santa Pasqua

Il paradiso dell’Eden, di cui ascolteremo nella prima lettura della veglia di Pasqua, ci mostra l’amicizia originale tra Dio e l’uomo. Prima del peccato, prima che Adamo manifestasse sfiducia nel creatore, non bisognava difendersi dalle forze ostili del mondo animale, né tantomeno dagli altri uomini. Che alcuni santi parlino con le bestie e dominino il mare – come Francesco di Paola – non ci stupisce: lo spirito del primo uomo è comunione con Dio e con tutto ciò che esiste. Ma la storia del mondo, lo viviamo tutti, è segnata da una frattura, un sospetto, una colpa. L’antitesi del giardino si fa strada nella vicenda umana ed è proprio la città: azione dell’uomo che si difende. Dalla natura, dagli altri, da chissà cosa. Mura, fortezze, check-point.  Può Dio essere un mostro? Un sadico? Un malvagio?  La città fa da sfondo al dramma della fede, che la liturgia di Pasqua ci farà assaporare nella storia di Abramo, seconda lettura della veglia.  Soltanto l’esperienza di essere amati, scelti e salvati ci strappa alla paranoia del dubbio e ci rimette in cammino. Dio ci vuole liberi, scopriremo nella terza lettura, che proclama come il Signore, attraverso Mosè, ha riscattato Israele dalla schiavitù dell’Egitto, e – dove i figli di Abramo, guarda caso costruivano città – e lo ha condotto per il deserto alla Terra Promessa.  Ci sono voluti quattro giorni per togliere gli israeliti dall’Egitto, recita un detto rabbinico, ma ci sono voluti quarant’anni per togliere l’Egitto dal cuore degli israeliti. La libertàè una storia dolorosa, fatta di tradimenti, fughe all’indietro, compromessi continui con la paura: lo spettro della sfiducia in Dio si agita sempre come violenza. Per questo la liturgia pasquale ci accompagnerà, attraverso i profeti, ad affinare il desiderio, a puntare tutto sulla fedeltà di quel Dio che non ha mai tradito e non tradirà mai, ma si lascerà tradire – consegnare – per riacquistarci a lui, al suo amore, alla vita che ha pensato per noi, e che è niente meno che la Sua Vita Divina. Sul monte in cui Dio non ha permesso che Abramo stendesse la mano contro suo figlio Isacco, Lui stesso, nel Figlio suo Gesù, si è lasciato legare e immolare come l’agnello pasquale, il cui sangue ha protetto le case degli ebrei in Egitto dal passaggio dell’angelo sterminatore. Felice colpa, canta la Chiesa in questa notte santa, che ci ha meritato un così grande redentore. Su questo monte, a Gerusalemme, ebrei, musulmani e cristiani, in quest’anno 2024, vivono un dramma che non ha precedenti. La religione strumentalizzata dalla politica, e dall’industria delle armi, apre scenari di morte, e nella città ritorna la tragedia della prima sfiducia, che diventa aggressione e violenza del fratello contro il fratello. I cristiani di Gerusalemme si trovano stretti in mezzo ai due fuochi. Quando a Gerusalemme ci si saluta, in arabo o in ebraico, si dice sempre “la pace sia con te”. È il paradosso di un’icona della storia dell’uomo, la città santa, che contraddice continuamente la sua natura e la sua vocazione: come ognuno di noi, immagine di Dio, quando schiavo della sua paura ritorna incapace di comunione. Domenica delle Palme la polizia impedisce ai cristiani dei paesi limitrofi, come Betlemme, di partecipare alla processione che va da Betfage alla porta dei Leoni: è la strada che ha fatto Gesù di Nazareth nel suo ingresso messianico. Ma nonostante ciò, lo spettacolo è incredibile: migliaia di cristiani, usciti da chissà dove, scendono dal monte degli ulivi e riempiono la valle del Cedron. Un sacramento di salvezza. La presenza del Risorto che cammina con i suoi si rinnova a prescindere dalle circostanze. Cristo non abbandona la storia. Questa settimana al Getsemani, sul monte Calvario e nel Santo Sepolcro, avranno luogo i riti nei quali il nostro “oggi” con tutta la sua carica di dolore e apprensione, è trasferito nell’ Oggi Eterno di Cristo, a cui  spetta l’ultima parola sulle vicende umane. Migliaia i morti a Gaza, insostenibile la tensione che si respira per le strade, eppure, nell’angoscia di una storia che è da sempre teatro di contraddizione e violenza, Dio, in Cristo, attraversa la città. Si fa carico di ogni ingiustizia, si lascia inchiodare sulla croce che l’umanità puntualmente predispone. I cristiani, in Terra Santa e ovunque, sono certezza che Cristo riscatta e libera la vita di tutti coloro che non sono destinati alla morte: ogni uomo e donna, ogni bambino e anziano, di tutte le razze, lingue, culture, quale che sia il suo peccato, quale che sia la morte che l’ha sorpreso o travolto. La storia, da quel mattino di Pasqua in cui la pietra della nostra sfiducia è stata ribaltata per sempre, è storia di una salvezza che abbraccia l’esistenza di ciascuno di noi: trasfigura la creazione e rilancia il tempo nell’eternità dell’amore, che è all’origine di ogni cosa. Nella sua omelia infuocata, come Pietro al tempio, alla fine della processione delle Palme, il cardinal Pierbattista Pizzaballa, Patriarca dei Latini, ha benedetto tutto il popolo con la reliquia della Croce di Cristo.  Per noi che stiamo condividendo questo tempo di guerra con i nostri fratelli cristiani, e di altre religioni, è stato  “vedere e udire” il segno inconfondibile del Risorto: ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Il paradiso per noi non è più un giardino, ma è invece – mistero grande – proprio la città: la Santa Gerusalemme del Cielo. Non dobbiamo scappare dalla nostra storia per trovare Dio. Il Signore non torna indietro come farebbe un nostalgico, ma ci precede ovunque siamo per farci andare avanti, superando paure, rigidità, immobilismi. Imprevedibile, creativa, inesauribile la Grazia. Dio ci sconvolge con la sua bellezza e la sua potenza di vita che non nega la morte, né il dolore, né lo scandalo della sofferenza innocente, ma attraversa tutto ciò, per trascinarlo con sé nella luce senza tramonto della sua resurrezione. Su Gerusalemme, in quest’anno ferito da guerra, lutti, incomprensione e violenza, risplende la gloria di Dio che, insegnano i padri, è l’uomo vivente: Cristo Risorto. In Lui, tutti coloro che egli ha amato, ama e amerà sempre: ognuno di noi, sperduti come un gregge di pecore, ma raccolti dall’abbraccio infinito di Gesù in Croce.  Non temere, piccolo gregge, al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno. Non temete, perché io ho già vinto il mondo. Ecco perché siamo pronti, in questa Pasqua, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese. Sappiamo che il Signore può tornare da un momento all’altro e per tanti nostri fratelli quest’anno è stato così. In questa notte dove l’oscurità è vinta per sempre, anche se crolla la terra e si sciolgono i monti, non temiamo. Perché Cristo è risorto, è veramente risorto, Alleluia.

Gerusalemme sotto le bombe si appresta a celebrare la Santa Pasqua
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