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Sfuggire a Boko Haram e partorire in mare aperto

Rapita dai terroristi in Camerun, la giovane venticinquenne riesce fortunosamene a fuggire, ma in Libia cade in mano agli schiavisti. incinta e senza soldi, viene spedita su un gommone, intercettato da una nave di “Medici senza frontiere” la “Msf Dignity I”. Così è stata assistita nel parto. Nella solennità dell'Epifania, nella chiesa Santa Famiglia di Fano, è stato battezzato suo figlio, a cui ha voluto dare il nome "Divane Dignity", come segno della speranza di un futuro migliore.

Sfuggire a Boko Haram e partorire in mare aperto

Una storia segnata da momenti difficili e riscatto: è quella della giovane camerunense Collins, 25 anni, che ora vive in una frazione di Fano, con il piccolo Divane Dignity, bambino di soli 3 mesi che riposa tranquillo e sereno tra le braccia della madre, mentre don Vincenzo Solazzi, parroco della chiesa Santa Famiglia di Fano, si appresta a battezzarlo nel giorno dell’Epifania.

Un percorso travagliato. “Un commando di terroristi di Boko Haram – spiega Collins in lingua francese – irruppe nella città di Banki e mi separò dal mio ragazzo, padre di Divane, e rinchiuse me e altre cento donne in una baracca in mezzo alla foresta. Io ero da qualche mese incinta”.“Ogni giorno – prosegue – molte di noi erano costrette a subire sevizie e umiliazioni. Ma ancor peggio ci venne chiesto di rinnegare la nostra fede cattolica per seguire l’islam. Chi si rifiutava veniva torturata e uccisa”.Ma nella storia della ragazza c’è stato quello che Collins chiama un “colpo di fortuna”. La giovane in preda al panico supplicò una donna prigioniera, che conosceva bene la zona, di farla fuggire. Inoltre, “le guardie di Boko Haram – afferma – non erano presenti tutto il giorno, perché confidavano che nessuna si sarebbe azzardata ad attraversare la foresta, poiché piena di insidie e pericoli”.

Dalla prigionia all’Epifania. Così le due donne fuggirono a piedi fino al confine nigeriano, dove un conoscente prestò loro un’automobile che le condusse fino in Libia. Ma la situazione non migliorò e le due vennero ridotte in schiavitù da un gruppo di libici. La giovane Collins, proseguendo nel suo racconto, descrive mimando la sua condizione in Libia: una corda al collo e nessun vestito addosso, soggetta allo scherno degli schiavisti. “Non ci fu concesso né cibo, né acqua – commenta Collins -, fummo costrette a procurarcene nelle foreste e tra i rifiuti. Temetti per il piccolo Divane che portavo in grembo”. In un secondo momento, prosegue, “mi obbligarono a chiedere soldi ai miei familiari, ma non trovando in me più nessun potenziale economico mi costrinsero ad imbarcarmi su uno di quei gommoni che attraversano il Mar Mediterraneo”. Poco prima di imbarcarsi, a causa dello stress, alla giovane camerunense si ruppero le acque sul suolo libico, ma senza che il figlio vedesse la luce. Il vero miracolo però accadde di lì a poco in mare, quando oramai fu in procinto di partorire, una nave di “Medici senza frontiere” la “Msf Dignity I” si accorse della situazione di emergenza generale del gommone stracolmo di persone e in particolare di Collins. Una volta prelevata venne assistita nel parto. “E così nacque Divane – afferma orgogliosa la giovane madre – al quale volli aggiungere un secondo e importante nome: Dignity”. Un nome nel quale riecheggia anche la speranza di una vita nuova.

Una nuova vita, una ritrovata dignità. Ora Collins e il piccolo Divane Dignity vivono a casa Lilith, struttura del settore emergenza gestita dalla cooperativa Labirinto, nella frazione di Ronco San Baccio di Fano (Pesaro-Urbino).Durante il battesimo di Divane Dignity, animato da canti e ritmi africani, don Vincenzo Solazzi ha voluto ricordare che “ogni essere umano va sempre rispettato nella sua dignità di persona. La nave che ha accolto il piccolo Divane si chiama Dignity. Ed è un segno profetico. È bello chiamarlo Divane Dignity!”.Non perdiamoci nell’indifferenza – prosegue – che ci allontana dalla verità e facciamoci smuovere dal grido dei sofferenti”. Ed è proprio Collins a gettare i ponti per una nuova vita, scegliendo due persone italiane a lei care come padrino e madrina: un operatore della cooperativa che la ospita, Stefano Barulli, e Cosima Mancarella. Il coordinatore del settore emergenza della cooperativa Labirinto Giuseppe Longobardi è stato il garante.

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