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Scuola, presidi sotto stress per gli alti numeri

Per un preside l’inizio d’anno scolastico rappresenta sempre il periodo più critico, tra la sistemazione dell’organico, l’attesa degli insegnanti che vengano a sostituire quelli in assegnazione provvisoria o in congedo, tutte cose che in genere nel primo mese si riuscivano a ottemperare. L'analisi di Roberta Fanfarillo, preside e membro, designato direttamente dal Ministro, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione.

Scuola, presidi sotto stress per gli alti numeri

“Nel 1964, seguendo i migliori consigli ufficiali, i responsabili dell’istruzione chiusero la scuola di Port William, un bell’edificio solido con tanto di altalene, scivoli e altri giochi per bambini nel prato circostante . Sprangarono le porte e spedirono i bambini in autobus a scuola ad Hargrave. Era la versione scolastica dell’efficienza, delle economie di scala”.
“Jayber Crow” è un romanzo dello scrittore statunitense Wendell Berry, famoso nel suo Paese per la sua battaglia in favore dell’economia dal volto umano, del ritorno all’agricoltura, al piccolo, e, come avete letto, alla piccola scuola. Se vivesse in Italia non sarebbe contento di come vanno le cose. Le piccole scuole di molti piccoli paesi vengono chiuse, e i bambini portati in una più grande che racchiude tanti altri bambini di altri borghi. È la legge del mercato. Ma è possibile parlare di mercato in un settore così vitale, fin dagli anni più teneri? Vediamo come affrontano il problema quelli che dovrebbero essere i nuovi “sceriffi” del sistema scolastico, i dirigenti.

Davanti a loro c’è una vera terra incognita, quella dell’attuazione della legge 107, che rivoluziona i trasferimenti, non più chiesti su scuole scelte dal docente, ma spalmati su un ambito territoriale non ancora ben definito e con metodi che non sono stati ancora perfettamente delineati, come la valutazione del curriculum. Presidi che dirigono istituti di istruzione superiore e istituti comprensivi di migliaia di studenti e centinaia di insegnanti e di personale Ata, un tempo istituti singoli, parte della vita del territorio, e ora parte di un sistema gigantesco in cui utenze disperse vengono a confluire e a portare richieste sempre più specialistiche e settoriali: talune, come nel caso di handicap gravi, delicatissime. “l’idea che la scuola faccia parte dei grandi numeri da far tornare a qualsiasi costo, ha causato parecchi danni – è Roberta Fanfarillo, preside e membro, designato direttamente dal Ministro, del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione – a parlare. Si pensi all’obbligo del personale ausiliare di prestare assistenza di base a ragazzi portatori di handicap gravissimi, il che vuol dire cambio del pannolone o accompagnamento in bagno: ma se c’è un unico collaboratore su un piano in cui si affacciano dieci classi, allora il discorso si fa critico. In cinque anni sono sparite 4000 scuole. Certo, c’è stato un bel risparmio di spesa, ma fatto sulla pelle di tutti, perché 4000 in meno vuol dire meno posti in segreteria, nell’insegnamento, nella dirigenza, nel personale ausiliario. L’istruzione non può essere considerata una spesa, semmai è un importantissimo investimento. E’ una priorità che deve essere fatta di scuole vivibili e a misura di ragazzo oltre che d’uomo. Anche se, a dire la verità, l’attuale governo ha mostrato un interesse, mancato in passato, riguardo l’edilizia scolastica”. Per un preside l’inizio d’anno scolastico rappresenta sempre il periodo più critico, tra la sistemazione dell’organico, l’attesa degli insegnanti che vengano a sostituire quelli in assegnazione provvisoria o in congedo, tutte cose che in genere nel primo mese si riuscivano a ottemperare. “Sì, ma ora, con il primo anno di attuazione delle nuove regole, siamo ancora in alto mare e chissà quando ce la faremo”.
Solo un problema di primo anno di vita della nuova scuola? “In parte sì, ma in taluni casi, come quello dell’insegnamento di una materia nell’ultimo anno di scuola superiore in lingua inglese, siamo ancora in alto mare perché le competenze non si raggiungono così facilmente: è mancata quella vera formazione a tappeto che avrebbe garantito una maggiore riuscita del progetto”.
I nodi sarebbero tanti e troppi da elencare in una sola volta. Quello della computerizzazione è però strutturale. Da una parte le resistenze di chi non accetta che tutto venga inglobato da una massificazione elettronica: finirebbe quella che, a sentire alcuni, è la tradizione millenaria di un rapporto personale, vero tangibile tra persone. E poi la mancata, attuazione, sostengono i favorevoli all’innovazione, della lezione digitale. Quasi nessuno la mette in pratica, anche perché non vengono realmente offerti strumenti e regole in grado di sostenere un passaggio epocale.

Fonte: Sir
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