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Paolo Di Giannantonio: i migranti sono persone, politica si dia da fare

Intervista al giornalista Rai, intervenuto a Cosenza al convegno "Rischiare di morire...per vivere".

Paolo Di Giannantonio: i migranti sono persone, politica si dia da fare

In occasione del convegno “Rischiare di morire…per vivere” presso la struttura Stella Cometa, che ha affrontato il tema dei migranti, abbiamo intervistato il giornalista Rai Paolo Di Giannantonio.

Quali sono le urgenze da sottolineare oggi?

Vorrei partire dal fatto che non dobbiamo parlare di urgenze, perché se parliamo sempre di urgenze non veniamo mai a capo di un problema come questo, che è epocale. 20 milioni di persone ogni anno, nel mondo, si spostano. Il fenomeno delle emigrazioni è di proporzioni bibliche. Non è solo con le emergenze che riusciamo a venire a capo di un problema come questo.

Come se ne esce fuori?

Ci sono diversi livelli con i quali va affrontata una questione come questa. La prima esigenza è quella dell’emergenza, di una risposta umanitaria forte, che deve essere fatta con le associazioni di volontariato, attraverso la Chiesa, le persone di buona volontà.  Ci vuole da parte dello Stato un sostegno adeguato a chi in prima linea fa questo tipo di accoglienza. Ma non basta, perché a livello nazionale ed europeo soprattutto dobbiamo avere idee chiare. Vediamo alle frontiere soprattutto balcaniche, a Calais, adesso meno a Lampedusa, cosa sta accadendo. Noi dobbiamo metterci prima di tutto d’accordo su chi sono quelli che stanno venendo. Esseri umani che han bisogno di un domani migliore per qualcuno, invasori per altro. Sarebbe il caso di cominciare a non vedere più questi due estremi. Questo è compito della politica.

Le risposte non sono univoche.

Le risposte non sono in effetti univoche, ma la politica deve riuscire a non portare più l’opinione pubblica a pencolare tra questi due estremi, perché così si fuorvia il discorso, che diventa propaganda e materia elettorale. E siccome stiamo parlando della politica delle persone, degli esseri umani, abbiamo bisogno di ragionare con gli strumenti che la politica ci può dare. Non possiamo fare a meno della politica per arrivare alla soluzione di problemi così grandi.

Quale compito da parte dei media?

Dobbiamo dare gli elementi all’opinione pubblica perché si renda conto di quanto è complesso questo problema. Questo vorrei sottolineare: la complessità del problema. Si fa un pessimo servizio se si ripropone eternamente il referendum “accogliamoli o non accogliamoli”, “porte aperte o porte chiuse”. Questo è fuorviante, sbagliato. Lo vediamo in Macedonia, si abbattono le barriere e si entra lo stesso, perché è una marea umana e deve trovare uno sfogo. Se sono 20 milioni le persone al mondo che si spostano ogni anno, non è alzando di qualche mattone il muro che si risolve il problema. Non si risolve il problema di 6 milioni di profughi siriani non facendoli entrare, ma facendo in modo che in Siria non ci sia più quella mattanza. E qui ognuno si deve prendere le sue responsabilità.

Cosa fare quindi?

Non solo dobbiamo offrire una doccia e un pasto a chi viene qui a Cosenza, ma dobbiamo chiedere alla nostra politica di fare qualcosa, perché quella guerra fratricida, che è innaturale, finisca subito.

Il volontariato è comunque una grande risorsa.

In una assenza, in un vuoto di presenza delle istituzioni così forte chi ci fa tirare un sospiro sollievo è l’iniziativa dei privati, di quell’esercito di persone benedette che, in Italia sono 5 milioni, che fanno il volontariato. È un po’ come se in una famiglia ci fosse un padre o un figlio egoista che lavora e si arricchisce e quello che di giorno esce e va a dare sostegno a chi ha più bisogno. In Italia per fortuna abbiamo ancora una famiglia che esprime il fratello più sensibile sta facendo un gran lavoro.

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