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P. Occhetta: "non insabbiare la riforma del terzo settore"

Il gesuita interviene sul suo blog sull'importante argomento e sul rischio di ritardi nelle assemblee legislative.

“La riforma del Terzo Settore, tanto attesa nella società civile, sta insabbiandosi nelle sabbie mobili del Senato”. Lo denuncia il gesuita padre Francesco Occhetta, scrittore de “La Civiltà Cattolica” e consigliere ecclesiastico nazionale dell’Ucsi, sul suo blog (clicca qui). “Io credo nella riforma per tre motivi: il primo è storico, il secondo è culturale, il terzo è spirituale”, spiega padre Occhetta, per il quale “questa non è una riforma come le altre. Qui ci giochiamo la qualità del lavoro, la sua umanizzazione e un nuovo modo di incontrarci in società grazie allo spirito cooperativistico. È per questo che la riforma prima di essere tecnica e organizzativa, richiede una conversione culturale”. Innanzitutto, una ragione storica: secondo il padre della cultura liberale, John Stuart Mill, “l’impresa capitalistica - fondata sul principio di gerarchia col capo che comanda e si deve adulare - era un residuo del mondo feudale mentre era il movimento cooperativo che favoriva nel mondo del lavoro il principio di libertà”. C’è poi “una seconda ragione culturale per sostenere la riforma”. Il cambiamento ha bisogno di tre condizioni: “Superare la mentalità assistenzialistica”; “essere riconosciuti con la stessa dignità giuridica delle società”; “essere riformati a livello fiscale, ma anche a livello giuridico”.“La cultura della cooperazione deve rilanciare la sua speranza nel bene comune e non guardare a difendere quello che si è conquistato”, sostiene padre Occhetta. Il cambiamento della riforma del Terzo settore è “proprio qui: passare dalle logiche ‘no profit’ il nessun profitto a quelle ‘not for profit’ in cui ‘l’attività svolta non è finalizzata alla massimizzazione di un profitto commerciale’”. Nella tradizione biblica, spiega, “il ‘valore’ non è solo distribuire valore (economico) creato da altri ma anche creare valore per altri. È ciò che la Chiesa chiama civilizzazione e umanizzazione dell’economia”. Questo cambiamento culturale più che tecnico è dunque “spirituale, non religioso. Ecco la mia terza regione”. Sono “le Scritture a insegnare che davanti alle crisi umane e comunitarie, incluso quelle lavorative, siamo chiamati a fidarci per ‘innovare’ e cambiare”. Davanti a questa crisi “ci salviamo tutti o tutti sprofonderemo. Dalla crisi è l’economia sociale che dà speranza e una visione nuova”. La Chiesa infatti “non chiede di superare l’idea né dell’economia di mercato né dell’azienda, ma quella di un mercato esclusivamente ripiegato sull’obiettivo del profitto a tutti i costi che definisce ‘risorse umane’ le persone equiparandole a una voce tecnica dell’azienda e che prescinde dall’eticità dei mezzi, dei fini e da un’antropologia al servizio della persona”.

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