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Avis, donare è una scelta di testa e cuore

Centocinquanta giovani a Cosenza, provenienti da quindici regioni d'Italia, per il Forum Nazionale Giovani Avis 2015. L'intervista al presidente nazionale, Vincenzo Saturni.

Avis, donare è una scelta di testa e cuore
Avis-logo

Sabato 5 e domenica 6 marzo centocinquanta ragazzi, provenienti da quindici regioni d’Italia, si sono incontrati a Cosenza per il Forum Nazionale AVIS Giovani 2016. L’evento formativo ha portato - attraverso la domanda “Testa o cuore?”- a riflettere su come una scelta consapevole possa cambiare il futuro, in particolare per i donatori di sangue. La prima giornata è stata dedicata alle relazioni degli ospiti e ad una tavola rotonda di approfondimento, la seconda ai lavori di gruppo dei giovani.  Ha aperto i lavori la dott.ssa Mariangela Raimondo, la quale ha relazionato sull’infezione dell’HIV e sulla percezione del rischio tra i donatori di sangue. Commentando alcuni dati sull’incidenza della malattia, ha specificato che nel Lazio si registra la più alta, mentre in Calabria la più bassa. Le nuove diagnosi, in Italia, si attestano attorno ai 4000 casi all’anno. A seguire la psicologa Monica Riccio ha fornito alcune informazioni circa le malattie sessualmente trasmettibili. I lavori sono proseguiti con la relazione del dott. Vincenzo Saturni, presidente dell’AVIS nazionale che ha sottolineato l’importanza della prevenzione per la sicurezza del sangue e per la tutela di donatore e ricevente. Al dott. Saturni abbiamo rivolto qualche domanda:  

presidente avis

In che modo il gesto della donazione di sangue può diventare momento educativo?

Noi dell’ AVIS riteniamo che la donazione di sangue vada intesa come un processo culturale. La persona si mette a disposizione degli altri per un bene comune: il donatore, infatti, dona una parte di sé ma non ha la necessità di farlo, tuttavia lo fa per qualcuno che, oltretutto, non conosce perché il suo dono è anonimo. Questo gesto, secondo noi, rientra in quella promozione di stili di vita positivi che servono a far capire che ognuno può dare il proprio contributo, piccolo o grande che sia, per migliorare la società.

Il tema del forum si focalizza sul problema della scelta consapevole tra testa, intesa come razionalità, e cuore, inteso come passione.  Come si può trasmettere il valore di una affettività sana ai giovani?

Noi siamo convinti che i giovani siano una grandissima risorsa. Non è retorica, a volte si dice che i giovani sono disattenti e privi di interessi. La mia esperienza, e quindi quella di AVIS, grazie anche ai numerosi protocolli che abbiamo sottoscritto con il Ministero della Pubblica Istruzione, ci dice che se il donatore diventa protagonista del percorso di condivisione ha delle risorse incredibili. Il forum tocca aspetti quali l’affettività e il relazionarsi con gli altri. Temi molto delicati che interagiscono con la sfera soggettiva di ognuno, ma è anche vero che quando una persona si rende disponibile per la donazione è necessario che ci sia una consapevolezza sul fatto che determinati comportamenti potrebbero esporla a rischi.

Come si può, in concreto, tutelare il donatore e il ricevente dall’infezione dell’HIV?

E’ un percorso abbastanza complesso. La prima parte è sicuramente quella informativa: il nostro compito è quello di diffondere le conoscenze su quelli che sono i comportamenti a rischio per fare capire che prima di tutto tali atteggiamenti vanno a scapito della salute di un potenziale donatore. In secondo luogo, una volta che il donatore è consapevolizzato lo si rinforma ad ogni nuova donazione e gli si sottopone un questionario specifico nel quale gli si chiede se è in corso qualche comportamento a rischio. Da lì scatta una eventuale sospensione temporanea o definitiva, dipende dalle condizioni. Terza cosa che viene fatta, sempre e comunque, è l’esecuzione di test specifici per vedere se effettivamente quella persona che intende donare è sana. C’è poi un meccanismo a lunga durata, ovvero un lavoro a posteriori per cui se si riscontrano delle positività in un donatore bisogna capire il perché. Infine non manca mai la sorveglianza sull’ammalato per verificare che effettivamente la trasfusione sia andata a buon fine e non abbia comportato la trasmissione di malattie infettive.

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