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Al posto tuo…

Un’inchiesta di Riccardo Staglianò sulla graduale scomparsa d’impieghi tradizionali a causa dell’automazione.

Al posto tuo…

“Recuperate l’uso delle mani. Coltivate la parte più umana che avete. Uscite all’aperto. Tornate a studiare, che vale sempre la pena. Ve lo dice un amico”.
L’“amico” è il giornalista Riccardo Staglianò, inviato di “Repubblica” e prima ancora di “Reset” e del “Corriere della Sera”, esperto di nuovi media, che in “Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro” (Einaudi, 252 pagine) prende di petto la post-modernità, o comunque la si voglia chiamare, dopo la grande crisi del 2007 e soprattutto dopo la certezza – ha girato il mondo in lungo e in largo intervistando i principali protagonisti della seconda era web – che la fantascienza robotica degli anni Cinquanta è realtà. Ci informa che una marea di posti di lavoro sono stati e stanno per essere tagliati a causa della robotizzazione. Lo spettacolo un po’ triste del pullman senza bigliettaio e delle stazioni senza un bar in cui un essere umano ti prepari un panino scambiando con te due parole (ma con in compenso la presenza inquietante e vagamente sinistra di parallelepipedi che ci dispensano solitari caffè) è nulla in confronto a quello che ci aspetta a partire da oggi, avverte l’autore. Automobili che potranno girare senza autista grazie a raffinatissimi sensori, segretarie in video davanti a te che stai a New York e che ti guidano in un labirinto di uffici mentre loro stanno tranquillamente dall’altra parte degli Usa, macchine in grado di rivelare più e meglio di medici specialisti minime presenze sospette, e molto altro ancora.
Si può fare qualcosa per conservare agli umani la possibilità di lavorare? Sì, risponde Staglianò, che nel frattempo ha scoperto che alcune forme di “crowdworking”, lavoro della folla, attraverso il quale tu puoi lavorare davanti al computer facendo recensioni, traducendo, o semplicemente cliccando “mi piace” sulla pubblicità di un gioco d’azzardo on line (in questo caso ben 20 cent) sono forme di sfruttamento vero e proprio. Uno dei possibili rimedi, lo si diceva in apertura, è buttare nella spazzatura la vecchia/nuova convinzione che la cultura e lo studio non servano ad un bel niente. Per lo meno ci danno qualche possibilità in più rispetto a chi è completamente indifeso di fronte alla missione di dover sbarcare il lunario in una grande città o in una baraccopoli. Anche perché nessuno può dirsi escluso dal rischio: le lezioni on web riducono il numero di docenti universitari, visto che possono parlare tranquillamente a migliaia di studenti iscritti telematicamente, sul personale infermieristico incombe la spada di Damocle di robot completamente autosufficienti per la distribuzione di medicine e la rilevazione di patologie. Alcuni articoli sono scritti o suggeriti da algoritmi che sfruttano l’accumularsi di dati che permettono di privilegiare notizie le quali altrimenti sfuggirebbero all’occhio umano. Staglianò sembra convinto che il problema nasca dalla graduale perdita di coscienza del diritto della persona a vivere dignitosamente del proprio lavoro, come quando un esponente – italiano tra l’altro – della nuova economia internazionale parla di una “nuova meritocrazia online globale” di darwiniana memoria. Altra soluzione, suggerisce l’autore: la tassazione di Gafa, acronimo di Google, Amazon, Facebook, Apple nei singoli Paesi in cui essi operano, cosa, che come si capirà leggendo il libro, non è tanto facile. Insomma, il rischio c’è. I vecchi film americani in cui i robot se ne andavano per le città a lavorare lasciando agli umani l’incombenza di giocare a canasta o di prendere il sole in giardino non erano roba da visionari. Il problema è che la seconda parte, quella del tempo libero, non sarebbe tanto azzeccata, visto che un padre di famiglia senza lavoro a tutto potrebbe pensare ma non a come godersi il tempo libero graziosamente concesso dai robot.

Fonte: Sir
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