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La tecnica da mezzo dell’azione umana a fine della nostra vita

Il pensiero di Emanuele Severino sulla crisi del concetto di verità

La tecnica da mezzo dell’azione umana a fine della nostra vita

In un tempo come il nostro in cui si è perso il concetto di verità e ci si muove tra ricerca del benessere e forti disuguaglianze siamo come succubi della tecnologia che ha come sviato l’uomo nell’orientarsi verso precise idealità e finalità etiche.

Emanuele Severino, uno dei maggiori pensatori del nostro secolo scomparso poco più di due anni fa, ha più volte evidenziato come la tecnica da mezzo dell’agire umano per raggiungere risultati e per ottenere scopi si sia trasformata essa stessa in fine, giungendo a porsi in conflitto con l’etica e con la giustizia nel momento in cui queste tentano di comprimere la crescente potenza.  

A ragione Severino ribadisce la forza debordante della tecnica si è andata sempre più spandendo sino a renderci schiavi del dominio di essa e a far sì che ogni aspetto della nostra vita dipenda dal modo in cui la tecnica ha organizzato l’esistenza dell’uomo sulla terra.

Il cambiamento di ruolo della tecnica, da mezzo a fine, si è prodotto in conseguenza dello scontro che si è prodotto tra le forze della tradizione occidentale, ovvero il sapere filosofico, il cristianesimo, l’Illuminismo il capitalismo, la democrazia, il comunismo. Tali forze, da concepire inizialmente la tecnica come un mezzo, alla fine sono giunte a scontrarsi l’un l’altra, utilizzando proprio la potenza tecnologica come mezzo, accrescendola smisuratamente pur di sconfiggere ogni forza antagonistica.

La verità sarebbe l’unica forza atta a bloccare l’incedere dirompente della tecnica, per Severino, il quale però è consapevole che il concetto di “verità” è andato sempre più incontro a una crisi profonda. La tecnica ha in certo qual senso annichilito l’etica tradizionale solo perché è il sapere filosofico del nostro tempo e non quello tecno-scientifico che ha messo in questione i valori del passato, che hanno un sostrato fondamentalmente filosofico. L’etica si è come frantumata in una pluralità di etiche tra loro in lotta: etica cristiana, capitalistica, comunista, etica dello Stato totalitario, etica democratica, eccetera.

A partire dal secolo scorso le forze che guidano queste diverse ed opposte forme di etica si combattono servendosi anche delle tecniche della comunicazione. Ma anche la tecnica è una forma di etica; il suo scopo è di aumentare all’infinito la propria potenza. Tanto è vero che si serve delle altre forme, le quali invece si illudono ancora di servirsi della tecnica e delle tecniche della comunicazione.

“Tutto questo – dice Severino - non snatura l’uomo, perché dalla cultura dell’Occidente l’uomo stesso è pensato come produzione, come ente produttivo, cioè tecnico. Come Dio è stato inteso come il senso ultimo (grembo e ultima dimora) dell’uomo, così oggi il senso ultimo dell’uomo è costituito dalla tecnica. Dio è il sommo Tecnico del passato, la Tecnica è l’ultimo Dio del presente”.

Il dominio della tecnica non può non considerarsi un sistema stabile proprio perché per la tecnica, dovendo rinunciare alla verità per essere potente, non sarà in grado di fornire una risposta definitiva sulla giustizia che è fondata sulla verità. Di conseguenza, la tecnica stessa si rivela una contraddizione e quindi anche il concetto di giustizia è inevitabilmente destinato a tramontare.

Il benessere e la felicità che la tecnica può dare all’uomo sono ipotetici, provvisori, anche se la capacità della tecnica di produrli viene ampiamente confermata. La felicità del paradiso dalla tecnica è molto aleatoria giacché priva di quella garanzia assoluta che solo la verità può dare.

Ed infatti se la crescita economica si esplica in uno spostamento dei vincoli di scarsità e in un aumento generalizzato dei consumi, senza un miglioramento adeguato della parte più debole, se negli Stati Uniti i ceti più ricchi preferiscono attraversare una pandemia piuttosto che contemplare una società più equa, se ci si accontenta che il reddito nazionale è aumentato di una certa percentuale, allora è lecito pensare che la crescita economica sia fine a se stessa e che sia una proxy del progresso tecnico piuttosto che uno strumento di raggiungimento di altri obiettivi quali ad esempio un accettabile livello di giustizia sociale.

Forse solo allora si sarà certi della giustezza delle teorie di Severino e magari ci si renderà tardivamente conto che esiste un senso della verità diverso da quello che oggi si è abbandonato per inseguire la dominazione della tecnica.

 

 

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