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La Madonna di Romania a Tropea

Un approfondimento sulla Vergine venerata nella concattedrale della diocesi di Mileto

La Madonna di Romania a Tropea

Nel Duomo di Tropea, sull’altare maggiore, all’interno di una ricca cornice d’argento, si trova la venerata icona della Madonna di Romania, termine che se agli inizi del Medioevo indica l’Impero romano in tutta la sua estensione, sulla metà dello stesso periodo si riduce piuttosto a designare appropriatamente l’impero bizantino, anche secondo qualche scrittore quasi coevo all’onorata icona, di tipo Eleousa o della tenerezza. Alfonso Frangipane di quest’opera dà notizia nel suo Inventario, sostenendo la tesi della provenienza orientale, databile intorno al 787 (tempo del Concilio Ecumenico Niceno II). Interessante è l’esposizione che ci presenta: “Il volto della Madonna non ricalca il tipo delle convenzionali Odegitrie bizantino-orientali, ma ha accenni veritieri che mettono in evidenza i dettagli anatomici forti e rudi, il naso aquilino, gli occhi grandiosi con le pupille volte all’osservatore dolcemente. Il Bambino che appoggia il suo viso a quello materno è di tipo più convenzionale”. Biagio Cappelli sposta la datazione a “non oltre l’XI secolo”, mentre Giorgio Leone rileva la fedele riproduzione dell’icona della Blachernitissa del monte Sinai. Maria Pia Di Dario Guida afferma che a Tropea, in un momento di crisi delle icone “bizantine”, la protettrice della città non poteva che essere giottesca e come tale, dalla stessa, fu pubblicata nel 1978 con un’attribuzione a Lippo Benivieni, suggeritale da Ferdinando Bologna. Ma la pietà popolare aveva rinnegato la pur prestigiosa paternità artistica battezzandola Madonna di Romania, con chiaro riferimento al nome assunto dall’Impero bizantino dopo la conquista dei Crociati, lasciando immutate le fattezze di una vera “icona” con il suo arrivo per mare dall’Oriente su un battello giunto nella baia di Tropea.
Maria è la nuova Eva, la creatura divinizzata, la Chiesa stessa, che realizza in sé la somiglianza all’immagine divina, secondo il detto dei Padri: “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo divenisse Dio”. Riguardo alle fonti storiche, basti qui segnalare che il documento più antico risale al VI secolo. Durante il periodo delle lotte iconoclaste (VIII- IX sec.), i testi si moltiplicano e riprendono l’argomento a riprova dell’origine apostolica delle immagini e della loro venerazione.
La divulgazione delle icone, successiva alla lotta iconoclasta e alle crociate, contribuì anche alla riproduzione di alcuni modelli iconografici in aree geografiche diverse da quelle di provenienza. Si tratta di territori in cui non erano conosciuti i cardini liturgici ortodossi, quegli stessi principi ai quali le icone si collegano, assumendo valore teologico e metafisico, costituendo così il riflesso visibile della divinità sulla terra. Comprendendo il misticismo che dalle icone promana, le popolazioni di quelle regioni ove i monaci trovavano rifugio per sfuggire alle persecuzioni e dove i crociati, di ritorno dalla Terra Santa, approdavano, aprivano le braccia e il cuore davanti alle tavole benedette, in special modo quando esse raffiguravano il volto dolcissimo e assorto di Maria. Sul territorio della Calabria, al tempo del monachesimo bizantino, sono state certamente presenti diverse icone mariane di provenienza orientale.

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