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Nessun artificio, inchiesta condotta con trasparenza

Nota ufficiale di Gratteri sulla vicenda dei due sacerdoti e in risposta al comunicato della Curia di Mileto

Nessun artificio, inchiesta condotta con trasparenza

E’ stata diffusa una nota ufficiale del Procuratore capo Gratteri sulla vicenda dei due sacerdoti della diocesi di Mileto rinviati a giudizio alcuni giorni fa “per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso”. La diocesi aveva emesso un comunicato stampa che abbiamo riportato nei nostri aggiornamenti quotidiano in relazione alla vicenda affermando che si trattava di accuse “senza riscontri nella realtà”.

Nella nota della DDA si legge che: “I plurimi accertamenti compendiati nel fascicolo delle indagini preliminari recano oltre alle iniziali registrazioni versate in atti dalla vittima della vicenda estorsiva, le acquisizioni dei tabulati telefonici, gli esiti delle attività tecniche di intercettazione, nonchè le dichiarazioni delle persone informate sui fatti”. Nessuna indagine “artatamente alterata” e massima trasparenza nell’azione svolta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro e dalla Squadra Mobile di Vibo Valentia. Secondo quanto ricostruito dall’ufficio della Procura di Catanzaro, in data 7 marzo 2019, veniva notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari del 25 febbraio 2019, nei confronti di quattro indagati, due dei quali, nei 20 giorni successivi alla predetta notifica, chiedevano di essere sentiti dal pm titolare delle indagini. “All’esito dell’interrogatorio reso dagli interessati, questa Direzione Distrettuale Antimafia  stralciava la posizione degli indagati escussi – scrive Gratteri – ed esercitava l’azione penale nei soli confronti dei due sacerdoti, i quali non hanno inteso esercitare alcuna delle facoltà previste dall’art. 415 bis c.p.p. e, pertanto, non hanno offerto alcuna ricostruzione alternativa delle risultanze istruttorie, né hanno segnalato circostanze nuove o diverse rispetto a quelle accertante nel corso delle investigazioni”. I due sacerdoti non avrebbero depositato memorie o documenti, nè prodotto documentazione relativa ad investigazioni difensive, nè hanno chiesto al pm il compimento di ulteriori atti di indagine, e non si sarebbero presentati per rilasciare dichiarazioni o per interrogatorio. “Pertanto – sottolinea Gratteri – in data 23 aprile 2019, veniva esercita l’azione penale e, ai sensi dell’art. 416 c.p.p., venivano trasmessi gli atti all’Ufficio Gip-Gup presso il Tribunale di Catanzaro”.

Solo dopo la della notifica della data dell’udienza preliminare (3 ottobre 2019) don Maccarrone  avrebbe inviato una pec, come riferisce anche la nota della curia di Mileto, all’Ufficio del pm Annamaria Frustaci, titolare dell’indagine, e cioè il 24 maggio scorso con la quale il difensore dei due indagati però non formulava richiesta di interrogatorio per i propri assistiti, ma chiedeva un colloquio con il sostituto procuratore antimafia che ha coordinato le indagini.

 “Va altresì evidenziato – si legge nello scritto della Procura di Catanzaro – che, nella nota redatta dalla Diocesi di Mileto – Nicotera – Tropea si fa riferimento alla circostanza che uno dei sacerdoti protagonisti della vicenda (Graziano Maccarone) è stato, a sua insaputa, registrato dalla persona offesa – vittima del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso – e si allude al fatto che il contenuto di queste registrazioni sarebbe stato “artatamente alterato e artificiosamente interpretato, fino ad accusarlo di messaggi a sfondo sessuale con la figlia disabile” e che “l’accusa di violenza e tentata estorsione di stampo mafioso usata da don Maccarone nei confronti del Mazzocca è senza riscontri nella realtà”.

Gli imputati è stato dichiarato dalla curia di Mileto che hanno provveduto a sporgere querela nei confronti del denunciante, presso la Procura della Repubblica di Vibo Valentia, ma anche su questo aspetto Gratteri sottolinea “che i plurimi accertamenti compendiati nel fascicolo delle indagini preliminari recano oltre alle iniziali registrazioni versate agli atti dalla vittima della vicenda estorsiva, le acquisizioni dei tabulati telefonici, gli esiti delle attività tecniche di intercettazione, nonché le dichiarazioni dalle persone informate sui fatti. Proprio dagli esiti intercettivi emergeva che don Graziano Maccarone si era attivato per recuperare la somma di denaro data in prestito al Mazzocca, percorrendo quella che lo stesso prelato definisce come la c.d. “strada parallela”. In particolare, rivolgeva al Mazzocca Roberto delle minacce esplicite, comunicate tramite don Nicola De Luca (il quale avrebbe dovuto fargli sapere che “se dovesse partire la macchina non si fermerà più”, avvisandolo di “stare attento, che avrebbe fatto una brutta fine”) e in ultimo – dopo aver preso contatti con soggetti di Nicotera Marina, tra cui il cugino Tomeo Antonio Giuseppe, vicino a Mancuso Pantaleone classe agosto ‘61 – riferiva all’amico sacerdote di mettersi da parte, informandolo, nelle date del 18 marzo e del 26 marzo 2013, che sarebbero intervenuti direttamente “i suoi cugini” e avrebbe recuperato il denaro “per vie traverse”, specificando altresì che si era “mosso con i suoi canali”, che “aveva informato la cerchia che lui sapeva” e che fosse stato per la sua volontà, li avrebbe mandati quella notte stessa a picchiare Mazzocca ma le persone alle quali si era rivolto gli avevano detto “NON E’ IL MOMENTO …PERCHE’ ORA IL FUOCO E’ TROPPO ALTO E CI BRUCIAMO TUTTI… PERCHE’ SE AGIAMO… QUESTO FA UNA PICCOLA COSA… A VOI RIMANE LA MACCHIA… NON E’ CHE NON VI RIMANE!!!!!…. QUINDI NON E’ ORA… CERCATE UN COMPROMESSO PER TEMPOREGGIARE… E POI INTERVENIAMO….”.

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