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Tumori: con il “Progetto Martina” s’insegna ai giovani la prevenzione

L'iniziativa, che coinvolge ragazzi dai 16 ai 18 anni, si concentra su melanoma, neoplasie al seno, al polmone, al collo dell’utero, al testicolo; ha il patrocinio dei ministeri della Salute e Istruzione e del Senato della Repubblica; più di recente è stata adottata anche all’estero.

Tumori: con il “Progetto Martina” s’insegna ai giovani la prevenzione

“Il 70-80% dei tumori sono dovuti allo stile di vita: fumo, dieta, sedentarietà”. Mentre il medico parla due studenti nell’ultima fila si guardano e ridono nervosi pensando alla sigaretta fumata prima di andare a scuola. Un altro fa vedere a una compagna il piccolo neo che ha sulla mano: è sul palmo destro dalla nascita, ma ora non è più tanto sicuro del fatto che sia innocuo. Più avanti due ragazze confessano che l’unica attività fisica che fanno nell’arco della giornata è salire le scale per arrivare in classe, all’istituto Keynes di Gazzada Schianno in provincia di Varese, una delle scuole superiori che in tutta Italia aderiscono al Progetto Martina. Lanciato da Lions Club Padova Jappelli nel 2006, si propone di parlare ai giovani della prevenzione dei tumori attraverso la diagnosi precoce e l’adozione di abitudini sane, spingendoli a confrontare le proprie con quelle presentate dai medici che intervengono durante gli incontri.

Scelte consapevoli. L’iniziativa, che si concentra su melanoma, neoplasie al seno, al polmone, al collo dell’utero, al testicolo, è attuata in tutti i distretti Lions italiani dal 2011 e ha il patrocinio dei ministeri della Salute e Istruzione e del Senato della Repubblica; più di recente è stata adottata anche all’estero. “Incontriamo 150mila studenti ogni anno in Italia – spiega Cosimo Di Maggio, coordinatore nazionale del progetto, che prende il nome da una giovane uccisa da un tumore –: sono ragazzi dai 16 ai 18 anni e siamo convinti che a questa età si possa parlare di cancro senza spaventarli e facendo capire come stanno i fatti.Agli studenti piace sentirsi dire che non vogliamo vietare loro nulla, ma lasciarli liberi di fare delle scelte consapevoli. Il problema è che le cattive abitudini iniziano prima di quell’età, perciò stiamo cercando di intervenire anche sui genitori dei più piccoli”.

Lo “stile” migliora. Primi testimoni dell’efficacia del Progetto Martina sono gli stessi giovani. Secondo i questionari anonimi raccolti al termine di ogni incontro – ne sono stati analizzati 46.176 nell’anno scolastico 2015-2016 e altri sono ancora in attesa di essere esaminati – l’85,8% dichiara di “non essere rimasto spaventato” a fronte di un 95,7% che ritiene di non aver avuto difficoltà a comprendere i messaggi ricevuti. “I ragazzi – commenta Di Maggio – credono di conoscere, ma in realtà non sanno granché e spesso le informazioni che hanno sono sbagliate e li portano a seguire percorsi di vita sbagliati”.Ad esempio il 54,1% del campione non sapeva come difendersi dal papilloma virus, uno dei principali fattori di rischio per il tumore al collo dell’utero.Anche per questo, il Progetto Martina propone alle scuole un secondo momento di confronto a un anno di distanza dal primo, per verificare se è cambiato qualcosa nello stile di vita e quanto sia stato messo in pratica dei consigli trattati in precedenza.“I giovani – spiega Di Maggio – modificano il comportamento in meglio. Ritengo molto importante il dato relativo al vaccino contro il papilloma virus perché il 71% delle ragazze che non erano vaccinate al momento del primo incontro ha dichiarato di essersi vaccinata o che si vaccinerà”. Alle 2.018 ragazze che dichiaravano di aver fatto il vaccino già prima di aver partecipato all’iniziativa, se ne sono aggiunte 276 che lo hanno fatto nell’intervallo tra le due fasi e 516 che intendono farlo. Dati significativi emergono anche analizzando l’alimentazione: il 61,2%, pari a 3.762 intervistati, sostiene di aver modificato la dieta grazie alle raccomandazioni ricevute; poi il 68,9%, ovvero 4.185 studenti, afferma di fare più attività fisica. Meno netto il miglioramento per quanto riguarda il fumo: appena il 36,9%, 955 in termini assoluti, rivela di aver cambiato abitudini.“Non ci sono differenze tra Nord, Centro e Sud Italia – argomenta Di Maggio – mentre i risultati cambiano a seconda del genere. Gli uomini cambiano stile di vita per quanto riguarda l’attività fisica, le donne per l’alimentazione; il fumo, invece, è il fattore di rischio con cui si ottengono i risultati minori”.

Fonte: Sir
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