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Cosenza multiculturale

Il professore Giuseppe De Bartolo, docente di demografia all'Unical, presenta a PdV uno studio sulla fisionomia della popolazione dell'area urbana di Cosenza.

Cosenza multiculturale
Prof. De Bartolo

Ritardare l’invecchiamento è una delle conquiste più recenti della scienza. Secondo il rapporto dell’Ocse “OECD Insights: Ageing debate the Issues", entro il 2050 il numero degli ultrasessantenni nel mondo è destinato a raddoppiare e a superare di gran lunga quello dei ragazzi al di sotto dei 16 anni. Ma se grazie a progressi e terapie si vivrà sempre più a lungo, anche le nostre città sono destinate a diventare sempre più vecchie. A confermarlo sono anche le principali tendenze demografiche in corso nella zona di Cosenza e dell’Hinterland.  "In futuro la composizione per età della popolazione  cambierà non solo per l'aumento della sopravvivenza, ma anche per la diminuzione delle nascite,  che sono stati osservati in questa area", ci spiega il professore Giuseppe De Bartolo, docente di Demografia all’Unical. “Anche se dal secondo dopoguerra la popolazione della Calabria- sottolinea De Bartolo- è rimasta pressoché invariata intorno a 2 milioni di abitanti, la sua distribuzione sul territorio ha invece registrato importanti cambiamenti. Oggi in cinque città, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Lamezia e Crotone vive un quarto della popolazione regionale, valore che sale a un terzo se consideriamo le aree di gravitazione intorno a esse".

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Professore, invece per quanto riguarda le dinamiche demografiche della zona urbana di Cosenza qual è il dato che ermerge?

Nell’ultimo mezzo secolo si sono avuti nuovi processi di aggregazione tra Cosenza, Rende e Castrolibero e anche Montalto. La popolazione di Cosenza dagli anni '80 del a oggi ha perduto il 37% della sua popolazione (ovvero 40 mila abitanti) e oggi (2015) con saldi naturali (nascite meno decessi=--3935) e migratori (iscritti meno i cancellati= -2175 ) negativi presenta i tratti che caratterizzano i centri con forte malessere demografico e a rischio di implosione. Nello stesso periodo sia le popolazioni di Rende che di Castrolibero sono aumentate di circa il 40% ma con un rallentamento di tale trend in questi ultimi anni. Se poi si considera l’area urbana formata da tutti e tre i Comuni, dal 1981 al 2015 si registra nel complesso un calo di popolazione di oltre 26mila abitanti per effetto della forte riduzione della popolazione di Cosenza.

Nel prossimo futuro quale sarà la fisionomia della città e dell’hinterland?

Tutti e tre i Comuni dell’area urbana subiranno un forte ridimensionamento demografico. Ciò si coglie dalle previsioni demografiche da noi elaborate in cui abbiamo considerato solo il movimento naturale e tralasciato quello migratorio che, dipendendo da una pluralità di fattori politici, sociali, economici, è di difficile e incerta valutazione. Più precisamente, abbiamo costruito uno scenario in cui la componente naturale della popolazione rimarrà invariata per tutto il periodo della previsione, ovvero la fecondità si manterrà sempre sul valore di 1,29 figli per donna feconda di oggi, mentre la vita media maschile e quella femminile saranno stabili sui valori 79,8 anni per i maschi e 84,2 per le femmine. Con queste ipotesi, che riteniamo abbastanza verosimili, la popolazione di Cosenza da 67.679 abitanti scenderebbe a 38.363, quella di Rende da 35.160 abitanti si ridurrebbe a 22.773, Castrolibero da 10.028 abitanti si ridurrebbe a 6.146 abitanti e l’area urbana nel suo complesso imploderebbe a 67.283 abitanti, ovvero alla dimensione demografica che ha oggi Cosenza.

Quali sono i fattori che porteranno a un declino demografico?

Ormai da molti decenni la fecondità è in continua diminuzione. Ricordiamo che in Calabria nel 1951 si aveva un livello di fecondità molto elevato di 3,61 figli per donna feconda. Da allora, per effetto di tutta una serie di cause che possiamo racchiudere con il termine “modernizzazione”, la fecondità è continuamente diminuita fino al valore di 1,30 figli di oggi, che è molto al di sotto del livello di fecondità di 2,1 figli per donna feconda necessario per la sostituzione delle generazioni delle madri con le figlie. Di conseguenza se non ci sarà nel futuro una inversione di tendenza, in verità poco probabile, dato in questa area si osservano da vari anni livelli di fecondità inferiori a 1,50 figli per donna, riteniamo che questa popolazione abbia di già imboccato una strada senza ritorno, in quanto si sarebbero ormai consolidati comportamenti favorevoli a non avere figli e propensioni a realizzare dimensioni familiari di dimensioni ridotte.

In questi ultimi decenni l’immigrazione ha in parte bilanciato l’invecchiamento della popolazione. Quale sarà l’apporto degli stranieri?

L’immigrazione straniera ha solo temperato la crisi demografica. Vorrei ricordare che le donne immigrate hanno appena arrivano quasi sempre hanno una fecondità più elevata delle donne italiane; tuttavia esse rapidamente assumono comportamenti procreativi simili a quelli delle italiane. A mio avviso l’immigrazione anche se aumenterà nei prossimi decenni non avrà però quella consistenza tale da poter “guarire” il malessere demografico del nostro paese. Vorrei ricordare che la crisi economica sta toccando pesantemente anche gli immigrati, pregiudicando finanche la loro permanenza in quanto costretti, se disoccupati, o a rientrare nei paesi di provenienza o a entrare nello stato di irregolarità. Nonostante questo contesto di crisi gli immigrati comunque rappresentano una risorsa in quanto sono giovani, versa annualmente contributi previdenziali non banali, è lontana dal pensionamento ed è fondamentale per il nostro welfare familiare.

Perché è importante porre attenzione sulle dinamiche demografiche in corso?

Le dinamiche demografiche in corso costituiscono una importante fonte di notizie per le decisioni politiche, soprattutto quando queste decisioni implicano investimenti di risorse finanziarie e umane, come per esempio i piani di intervento per l’occupazione giovanile, quelli per la rete di assistenza sanitaria e del welfare locale, quelli per la razionalizzazione del servizio pubblico e così via.

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