Dottrina della Chiesa
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Bene comune

Arriva anche online la rubrica di PdV sulla dottrina sociale della Chiesa. E' l'occasione per prepararci alle Settimane sociali dei Cattolici Italiani di Cagliari 2017. 

Bene comune

Sentiamo dire che il bene comune non è la somma dei singoli beni. Espressione vera! Esso è un valore molto più alto, importante; al quale ogni aspetto della vita sociale deve riferirsi per trovare pienezza di senso. Bene comune è amore verso la polis; che è, praticamente, il proprio territorio, il proprio comune, la propria regione, la propria Nazione, la comunità internazionale; ma anche, e alla pari, la custodia dell’ambiente, del patrimonio storico-culturale e delle tradizioni, l’impegno per la pace. Qualsiasi società, che voglia servire la causa dell’uomo, deve tendere alla custodia del bene comune. Così come i singoli non possono ricercare l’esclusivo benessere individuale, che mette da parte il “con” e il “per” gli altri. Chi è responsabile del bene comune?

Esso impegna tutti i membri della società; nessuno è esentato dal collaborare

al suo sviluppo e alla sua custodia. I singoli e lo Stato. Quest’ultimo, poiché il bene comune è la ragion d’essere della vita politica; il suo primo e più importante compito. In quanto l’uomo singolo, la famiglia, i corpi intermedi non sono in grado di pervenire da se stessi al loro pieno sviluppo. Compito dello Stato è, allora, armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali. Come si costruisce il bene comune?

Scrive papa Francesco in Evangelii gaudium che esso è frutto di un principio, necessario per il progresso di un popolo: «il tempo è superiore allo spazio» (222). Tale visione si scontra con la nostra mentalità; che preferisce custodire i propri spazi di potere, rispetto ai necessari tempi dei

processi; l’uomo desidera, troppo spesso, prendere possesso di tutti gli spazi di autoaffermazione, piuttosto che dare priorità al tempo.

Occorre «iniziare processi più che possedere spazi» (Evangelii gaudium 223). Il bene comune è il bene più grande. «Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma» (Evangelii gaudium 235).

Siamo chiamati ad allargare i nostri orizzonti, per riconoscere un bene più grande che porterà benefi ci a tutti noi. Perché fatichiamo nel custodire il bene comune? Siamo consapevoli di appartenere ad una cultura che difende le verità soggettive di ognuno; e questo «rende difficile che i cittadini desiderino partecipare ad un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali» (Evangelii gaudium 61). Ce ne rendiamo conto nelle piccole cose di tutti i giorni: ci interessa poco il bene, il progresso della civitas; anzi, se possiamo, non ci tiriamo indietro alla frode dello Stato, anche nel nostro piccolo. «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti» (Francesco, Laudato si’ 229). Se guardiamo al bene comune non come il fine ultimo della società, ma come mezzo per raggiungere la meta più sublime, allora siamo motivati a spenderci maggiormente per la res publica.

Il bene comune ha dimensione trascendente. Dio è il fine ultimo delle sue creature; nessun contesto storico potrà veramente appagare l’uomo. Egli si realizza nella totalità; e quest’ultima è il vangelo, la buona notizia, che feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e desidera riunire tutti gli uomini nella mensa del Regno.

Bene comune
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