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Uno nuovo modo per parlare di Gioacchino da Fiore

Intervista al Postulatore don Enzo Gabrieli. Superati tanti luoghi comuni ma i tempi sono quelli di Dio e della provvidenza

Uno nuovo modo per parlare di Gioacchino da Fiore

A margine del Film “Il monaco che vinse l’apocalisse” abbiamo parlato della figura dell’abate calabrese con don Enzo Gabrieli, postulatore della Causa, che da quasi un quarto di secolo si occupa della vicenda e ne sta seguendo i passi all’interno del percorso ecclesiale. Un lungo lavoro, fatto di studii, contatti e di ricerche, che ancora non ha spalancato la porta di una possibile Causa ma almeno “ha chiarito” tanti lati oscuri e leggendari su una figura accompagnata da tanti, forse troppi, luoghi comuni e dicerie ne fondate né approfondite. L’opera cinematografica di Jordan River contribuirà forse ad aprire altre piste di conoscenza e di ricerca per conoscere l’Abate di Fiore.

Chi è Gioacchino da Fiore?
Gioacchino da fiore è un Monaco calabrese che e vissuto nel medioevo e si è distinto per la sua ricerca teologica e il suo continuo riferirsi alla parola di Dio come fondamento di quella che fu la sua testimonianza di vita, la sua profezia, il suo leggere gli eventi della storia illuminati dalla fede. È nato nel 1135 a Celico, un paese alle pendici della Sila, in una famiglia abbastanza ricca da poter avere rapporti con i notabili della città e la Corte di Federico II a Palermo dove si recò per le prime esperienze di vita e la sua formazione culturale. Partito per un viaggio in Terra Santa ebbe modo di incontrare il monachesimo eremita e cercò di rivivere questa esperienza sulle pendici dell’Etna prima e del rendese, cercando di entrare come novizio nell’abbazia della sambucina di Luzzi poi. Dopo alcuni mesi passati nella foresteria di questo monastero entrò fra i cistercensi a Corazzo. Fu ordinato sacerdote da Michele da Martirano e nel 1177 divenne abate della stessa abbazia.

Ma poi lasciò i cistercensi?
Gioacchino era un uomo che amava gli studi, il silenzio e la contemplazione, è la vita di governo gli impediva di fare tutto questo in maniera continuata e ordinata. Dopo essersi recato a Casamari dove rimase per diverso tempo ebbe modo di chiedere direttamente al Papa la licenza di commentare e scrivere sulla parola di Dio. Ed è proprio in questo grande monastero, dove conoscerà alcuni monaci che lo seguiranno e lo stesso Luca, suo segretario, che diventerà arcivescovo di Cosenza, attingendo alla nutrita biblioteca, scriverà le sue prime opere sull’apocalisse e di commento alla sacra scrittura. Rientrato a Corazzo chiese ed ottenne quella che oggi chiamiamo l’esclaustrazione, cioè di poter uscire dal convento, Per dedicarsi completamente alla preghiera e alla scrittura. Si ritirò a Pietralata prima, in una zona impervia nei pressi di Rogliano-Marzi sulla direttrice per la Sila, poi scelse l’altopiano silano dove trovò il luogo idoneo per la Fondazione di quella che lui chiamò la sua nuova Nazareth (ancor oggi chiamata Fiore). Qui fondò l’ordine florense che fu approvato dal Papa e avviò la sua nuova esperienza spirituale. Le sue fondazioni crebbero e il 30 Marzo del 1202, proprio per andare a visitare una delle sue grange a Pietrafitta, attraversati i rigori dell’inverno silano morì circondato dai suoi monaci. Qui fu sepolto alcuni anni e poi il suo corpo fu traslato nella nuova e più grande abbazia e attualmente sta al centro di San Giovanni in fiore. Siamo nel 1224-26 circa.

Ma si può parlare di Gioacchino come santo?
Fu un uomo di Santa vita e di grandi virtù, ebbe il dono del consiglio e visse nella piena obbedienza del Papa e della Chiesa. I suoi detrattori tante volte cercarono di accusarlo di essere stato un fuggitivo e ancora su di lui aleggia un’accusa di eresia a causa della condanna di un presunto libello composto dopo la sua morte è così presentato nel Concilio lateranense quarto. Esso doveva contenere le sue tesi trinitarie che effettivamente furono condannate da un’apposita costituzione. Ma lo stesso Concilio parla della Sua Santità della vita e dell’insegnamento del suo ordine. Alla luce di questo Papa Onorio III che scrisse una lettera apostolica da leggersi in tutta la Calabria non solo lo difendeva ma che lo definiva ‘uomo pienamente cattolico’. La prima biografia scritta in occasione della traslazione del corpo proprio da Luca descrive una serie di episodi brevi che evidenziano le sue virtù cristiane e fu composto per lui anche una raccolta dei miracoli attribuiti. Che godesse di una fama di santità in vita, e soprattutto dopo la morte, questo è evidente negli scritti, nelle opere d’arte, nelle miniature e in tanti affreschi dove appare con l’aureola o in mezzo ai santi. L’ordine e gli stessi cistercensi non trasmettono con il titolo di beato, così come lo cita anche Dante che riprende, nella sua terzina, una delle antifone della memoria liturgica di Gioacchino da Fiore.

Perché non è fatta la causa?
In passato ci sono stati dei tentativi ma la fine del suo Ordine non ha agevolato questo. Così come delle gelosie che si sono perpetrate nei suoi confronti sia per il pensiero teologico sia per le proprietà silane e concessioni che furono poi incamerate da altri enti civili e religiosi e che lui aveva ricevuto dalla regina Costanza e il suo ordine da Federico II. Nel 2001 fu avviato, da monsignor Agostino, un grande studio preliminare sul percorso storico dell’abate e sulla sua teologia e sono state nominate tre commissioni di lavoro e una postulazione. Dalle ricerche è emerso che negli scritti, che comunque lui aveva sottoposto nel suo Testamento all’obbedienza del Sommo pontefice, non ci sono errori teologici. Noi non vogliamo anticipare il giudizio della Chiesa. Se e quando la Chiesa lo riterrà opportuno lo additerà come modello di vita cristiana. Per ora ci muoviamo nell’ambito della prudenza e della ricerca storica e teologica aiutati da grandi studiosi e da grandi teologi.
Una figura poliedrica...
La provvidenza ha utilizzato Gioacchino da Fiore e continua ad utilizzarlo per toccare il cuore degli uomini in ricerca, quelli che sognano una chiesa più spirituale libera dalla mondanità. Tanto che a lui sono attribuite alcune profezie o visioni spirituali che indicano la nascita di due uomini, di due colonne che avrebbero sostenuto e purificato la chiesa. Si tratta di Francesco di Assisi e di Domenico di Guzman. Proprio in un commento in Svizzera, a Surce, nel 2012 ho scoperto un ciclo pittorico in un chiostro cappuccino dove è illustrata la vita di Francesco d’Assisi che si apre con il sogno dell’abate calabrese che vede arrivare i due grandi uomini fondatori di altrettanti Ordini. Ehi furono soprattutto i francescani spirituali a diffondere il pensiero dell’abate e anche a forzarlo per una richiesta di una chiesa povera e nuova nell’annuncio e nella testimonianza. Furono loro la fortuna e la sfortuna di Gioacchino perché in alcuni casi, per richiamare alla necessaria conversione e alla povertà dei beni, citavano l’abate e ne inventavano anche detti e profezie. Il lavoro che è stato fatto nelle commissioni diocesane è stato quello di indicare le sue opere canoniche grazie anche al lavoro del centro internazionale di studi Di San Giovanni in fiore. È vero anche che i grandi della terra hanno guardato al suo sogno di un mondo nuovo, di una terra nuova, trovando il coraggio e la spinta per fare alcuni passi. Penso ad esempio a Cristoforo Colombo che lo cita nel suo diario alla ricerca del nuovo mondo. O anche ai teologi romani che ispirarono e guidarono il lavoro di Michelangelo nella Sistina e allo stesso Papa Innocenzo III che lo cita nei suoi discorsi. Gioacchino eccitato anche nella bolla di canonizzazione di San Domenico. In diocesi purtroppo ebbe anche qualche nemico. Nel 2020 ho avuto modo di consultare, studiare e pubblicare un dossier riservato dell’arcivescovo San Felice che formulava un’accusa di anticipazione di culto a causa di un cielo acceso sulla sua tomba da un novizio Florense e che ebbe modo di vedere lui stesso durante una visita pastorale a San Giovanni in fiore. Fu intentato su questo fatto un vero e proprio processo inquisitorio. Questo da una parte trova la fama dall’altra può essere letto come una violazione dei decreti di urbano VIII. Io credo che Gioacchino non è stato ancora canonizzato perché la sua figura doveva raggiungere tanti laici e tanti pensatori anche del mondo cristiano del protestantesimo e della filosofia che così hanno avuto approccio ad un pensiero teologico. Una sua canonizzazione lo avrebbe relegato, come mi sono permesso di scrivere in un mio libro, come statua impolverata in una nicchia o in una sacrestia. Anche i suoi scritti sarebbero stati letti solo come testi cattolici e non di frontiera, di orizzonte.

Allora non vale la pena di fare una causa?
Questo non spetta a me dirlo. Penso che dopo 8 secoli una causa di tipo storico che confermi il suo culto e liberi dalle ombre la sua figura potrebbe essere utile a far entrare Gioacchino nel cuore dei cattolici, stimolarne la lettura delle opere che finalmente sono state trascritte e tradotte. Oggi potremmo riprendere con più forza l’attualità del suo messaggio che riafferma il primato dello spirituale, il primato di Dio nella nostra vita, il coraggio di uscire da schemi e strutture senza per questo protestare o demolire la chiesa, e poi la bellezza del primato della parola di Dio meditata nel segreto che ti permette di leggere la storia dell’umanità dal punto di vista Di Dio. È questa la profezia cristiana, non è quella di vedere il futuro. Il profeta biblico, il discepolo di Cristo legge gli eventi e gli accadimenti dalla sua prospettiva e dice una parola di consolazione, di consiglio, illuminata dallo Spirito Santo. Leggendo alcuni scritti di Gioacchino si sente la freschezza dell’apostolo Giovanni che scrive e legge la storia in un contesto di rapimento spirituale. Nel silenzio della preghiera e della liturgia.

È stato preparato un grande film su Gioacchino da fiore che sarà disponibile nei prossimi mesi…
Siamo grati al regista Jordan River che si è cimentato in questo particolare lavoro che insieme a tanti altri che hanno prodotto piccoli documentari e narrazioni della sua vita aiutano a far conoscere, a stimolare una riflessione esperiamo una ricerca dei testi dell’abate, una visita dei luoghi, una maggiore penetrazione del suo pensiero. E nella Chiesa aggiungerei una riscoperta della sua testimonianza. Ehi il cinema ha una sua forza di penetrazione, è uno strumento popolare di grande impatto. Così come siamo grati a tanti che hanno scritto libri sull’Abate, così come siamo grati agli studiosi che hanno aperto la mostra la conoscenza sulla sua teologia, così dobbiamo guardare con grande simpatia agli strumenti della comunicazione anche per la missione della Chiesa.

Cosa consiglia a chi ne vuole approfondire la figura?
Una sola cosa mi permetto di consigliare a chi vuole accostare questa grande figura; Gioacchino va avvicinato con umiltà e non va mai scardinato dal suo rapporto con Cristo, con la chiesa e soprattutto con la parola di Dio che egli citava in lungo e in largo alla maniera dei padri, tante volte anche senza indicarne il libro. Bisogna essere bravi nel cogliere il suo continuo riferirsi alla sacra scrittura, centro della sua predicazione e del suo annuncio profetico. Non esiste un Gioacchino da Fiore scardinato dalla Chiesa cattolica che ha amato. Non è un disobbediente o un uomo della protesta. Una figura come questa tradirebbe non solo il suo pensiero ma la sua vita di sacerdote e di Monaco.

E ai calabresi?
Se anche Onorio III, nel 1220, colse che c’era una sorta di gelosia e di invidia nei suoi confronti credo che, come calabresi, dobbiamo fare di tutto per promuovere e promuoverci. Mai correre il rischio di distruggerci o di sbranarci come diceva San Paolo nelle sue lettere. Nell’ultimo ventennio c’è stata una renaissance nella ricerca e nell’approfondimento di questa figura che credo può essere la base per proporre anche una Calabria abitata da grandi uomini, uomini del logos, del pensiero, del bene e del bello, che la fanno grande e che gli hanno fatto varcare i confini regionali che la tenevano confinata, isolata, come periferia geografica e culturale. Un bel contributo alla lettura del suo pensiero lo ha dato anche Papa Benedetto XVI quando da giovane studente ebbe modo di lavorare e mostrare nella sua tesi di dottorato il profondo legame tra alcuni suoi testi e quelli di San Bonaventura per la riforma dell’ordine francescano. Noi abbiamo bisogno di questo per promuovere la figura ma soprattutto imitarne l’esempio di impegno coraggioso affascinato. Non abbiamo bisogno di gloria da museo.

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