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La missione e la costruzione di un forno in Mongolia

Il racconto testimonianza della costruzione di un forno per il pane ed il corso per la panificazione nel luglio 2005. Una missione partita da Mendicino nella nascente Chiesa

Parole chiave: Mongolia (2), forno (1), missione (10), Giovanni Paolo II (8), Mendicino (13)
La missione e la costruzione di un forno in Mongolia

Sono trascorsi quasi vent’anni dalla nostra missione in terra mongola ed ancora resta vivo in tutti noi il ricordo di quella terra, di quella gente che nonostante povertà e regime ha conservato l’orgoglio e l’identità del grande popolo del Khan. Il profumo del pane si mescola con quello dei ricordi, la commozione si unisce alla speranza e alla ricchezza di quei giorni di grazia e la visita ad una chiesa nascente, quasi come ai tempi degli Apostoli. Era il luglio del 2005 quando (dopo alcuni mesi di preparazione) ci siamo tuffati nell’avventura di andare a conoscere una Chiesa che muoveva i suoi primi passi. Da qualche mese era morto Giovanni Paolo II, il Papa che aveva desiderato visitare quella nazione dove i battezzati non erano che qualche centinaio; una o due parrocchie per un Paese grande 5 volte l’Italia e con una popolazione nomade all’80%, di 3,5 milioni di abitanti. Il Papa aveva nominato il primo Vescovo, monsignor Padilla, la rappresentanza diplomatica della Santa Sede era a Seoul, in Corea del Sud. Accompagnai 9 giovani, tutti trentenni, coinvolgendoli nel sogno di costruire un forno per il pane in una struttura che ospitava una piccola comunità cristiana per le attività e la preghiera. Il gancio fu monsignor Emil Tscherrig, allora nunzio Apostolico in Corea e Mongolia, che ci aveva raccontato le difficolta energetiche e descritto la povertà e l’alimentazione precaria; il pane era poco adatto alla digestione. Ci siamo così tuffati nell’avventura e grazie alla solidarietà di tanti abbiamo messo piede in un Paese dove il 98% parla solo il mongolo e in pochi l’inglese. La Provvidenza ci ha messo sulla strada anche due suore missionarie del Belgio, con comunità ad Ulaanbaator, la capitale. Ci hanno accompagnato a Shuvuu, alle porte del deserto del Gobi, dove hanno lavorato tanto per sostenere questa comunità. Sono stati 15 giorni di intenso lavoro, di fraternità, di conoscenza delle tradizioni. Abbiamo avuto anche la possibilità di partecipare alla grande festa nazionale del Nadaam e incontrare il buddismo mongolo. Le difficoltà non sono mancate, anche di approvvigionamento alimentare a causa di una tempesta di sabbia, ma la passione per la missione, la giovinezza e soprattutto il Signore, ci hanno sostenuti. La costruzione del forno è durata 10 giorni, poi il corso alle donne per la panificazione, la pizza, i biscotti e la realizzazione delle ostie con l'attrezzatura portata dall'Italia. Ogni giorno si apriva con la Messa, scandendo le ore tra lavoro, preghiera e riposo. Le serate con i giovani trascorrevano giocando a pallone o cantando attorno al fuoco, senza tv o internet. Per telefonare bisognava andare con la jeep in città. Quando abbiamo sfornato il primo pane è stata una festa per tutto il villaggio: profumo di amicizia, di solidarietà, impastata con quel pizzico di fede che ti fa fare certe pazzie. Siamo tornati a Mendicino carichi di fede, di valori trasmessi nella semplicità di vite che abbiamo incontrato e a Schuvuu e lì abbiamo lasciato tutti un pezzo di cuore. Sapere che papa Francesco andrà in Mongolia a fine agosto e che il 15 agosto nel ‘nostro villaggio’ sarà consacrata la prima chiesa dedicata alla Santa Famiglia dalla viva voce del parroco ci ha riempito di tanta gioia e consolazione.

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