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Modificare i geni per combattere il cancro

Primo studio su esseri umani che proverà ad applicare la modificazione genetica CRISPR a scopi terapeutici

Parole chiave: geni (2), cancro (1)
Modificare i geni per combattere il cancro

Da pochi anni, sul fronte avanzato della ricerca, genetisti e biologi molecolari possono annoverare tra i loro “attrezzi” di lavoro le Crispr (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats), sofisticatissime tecniche di manipolazione – con precisione di tipo “chirurgico” – del Dna. In particolare la Crispr-Cas9 è in grado di tagliare a piacimento un segmento di Dna (ad es. un determinato gene) e di sostituirlo con un’altra sequenza. Le “forbici” biologiche per compiere queste operazioni altro non sono che degli enzimi (endonucleasi) che, per raggiungere il gene bersaglio, sono guidate da un filamento di Rna opportunamente programmato.
Una tecnica potentissima ed estremamente utile, dunque, relativamente “semplice” da usare (almeno per i ricercatori!), che per altro risulta poco costosa, in pratica alla portata di tutti i laboratori di biologia molecolare.
Bene, in questi giorni, i National Institutes of Health degli Stati Uniti hanno autorizzato il primo studio su esseri umani che proverà ad applicare questa tecnica di modificazione genetica a scopi terapeutici, in particolare nella terapia del cancro. Lo scopo di questo primo stadio di sperimentazione clinica è quello di testare la sicurezza della tecnica. In caso di risultati positivi, la sperimentazione passerà ad una seconda fase, il cui obiettivo è invece la verifica dell’efficacia terapeutica dell’intervento.
Più in dettaglio, lo studio – progettato da ricercatori dell’Università della Pennsylvania – prevede il prelievo di linfociti T da un piccolo gruppo di pazienti affetti da melanoma, sarcoma o mieloma, per modificarli geneticamente (mediante Crispr) e così potenziarne la capacità di aggredire le cellule tumorali. Le modifiche che i ricercatori, usando la Crispr, intendono apportare al genoma dei linfociti sono tre. La prima consiste nell’inserimento di un gene che codifica per una proteina che permette al linfocita di riconoscere più facilmente le cellule tumorali; la seconda prevede la rimozione o il silenziamento del gene per la proteina (normalmente presente nelle cellule T) che potrebbe interferire con questo processo; la terza, invece, bloccherà la produzione di una proteina che permette alle cellule tumorali di riconoscere li linfociti T e disattivarli. Una volta modificati, i linfociti “ingegnerizzati” saranno reinfusi nei rispettivi donatori.
La necessità di passare da questa prima fase sperimentale dipende dal fatto che, anche se la Crispr è una tecnica di modificazione del genoma molto più precisa, semplice ed efficiente delle altre, esiste sempre il rischio che la procedura induca alterazioni non volute oppure in punti sbagliati del Dna, con conseguenze imprevedibili. Del resto, in tutte le sperimentazioni cliniche, gli studi sulla sicurezza sono un passaggio obbligatorio previo a quelli sull’efficacia terapeutica.
A riprova di questa necessità, un episodio di cronaca risalente al 1999: un tentativo fallito di terapia genica, anche questo progettato da ricercatori l’Università della Pennsylvania. In quel caso, un paziente morì in seguito ad una terapia genica sperimentale per una patologia ereditaria, che provoca accumulo di ammoniaca nell’organismo. Ovviamente, l’episodio provocò una battuta d’arresto di tutti i tentativi di terapia genica – un blocco protrattosi per oltre dieci anni -, oltre che la revisione delle condizioni da soddisfare per l’approvazione dei progetti di ricerca in questo settore.
Infatti, anche questo studio sperimentale, dopo aver ottenuto il via libera da parte dei National Institutes of Health, dovrà ancora passare il vaglio della Food and Drug Administration, oltre che ottenere il parere favorevole dei comitati etici degli ospedali che hanno in cura i pazienti da arruolare nella sperimentazione.

Fonte: Sir
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