«In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”» (Lc 10,5)

Soltanto l’evangelista Luca narra un duplice invio, dei 12 (9,1-6) e dei 72 (10,1-20), aiutandoci a comprendere che la missione non è relegabile ad un gruppo di specialisti ma è dono e responsabilità di chiunque abbia incontrato Cristo. I 72 inviati sono designati come discepoli, non come apostoli. Se l’apostolo è il mandato, il discepolo è colui che segue le orme del proprio Maestro; se la vocazione dell’apostolo è l’invio, quella del discepolo è la sequela. Luca ricorda, quindi, che la missione scaturisce dal rapporto con Gesù; non ha un perché, ma un unico assoluto perChi. Missione è, infatti, una necessità d’amore: solo chi si sente amato dall’amore incondizionato, fedele fino alla follia della croce, sperimenta l’impulso di renderlo presente ed operante negli altri, in una vita che si rende condivisione, presenza e consumazione fino al martirio (v. 3).
I 72 sono inviati «a due a due» (10,1) perché la missione non ha bisogno di eroi solitari ma nasce dalla comunione e crea comunione. Il rapporto vissuto nella comunità, la cura reciproca, la responsabilità condivisa, il perdono dato e accolto hanno valore testimoniale perché rendono incontrabile il regno di Dio nella concretezza dei rapporti umani.
La consapevolezza della sproporzione tra la molta messe ed i pochi operai (v. 2) genera la preghiera che educa a vivere la missione come l’opera di un Altro. Nella preghiera, i discepoli imparano ad essere figli del Padre e a porre tutta la loro fiducia in Lui. Radicati in questo rapporto potranno perseverare persino nel rifiuto e nella persecuzione, continuando a donare pace. La preghiera per la missione forma, dunque, i 72 alla missione.
I discepoli sono inviati in un contesto in cui lupi rapaci si scaglieranno contro gli annunciatori del Regno per sconvolgere l’unità del gregge (v. 3). Come affrontare questa conflittualità aggressiva? L’immagine dell’agnello ricorda che il discepolo missionario non può rispondere all’aggressione con l’aggressione, alla violenza con la violenza, alla dialettica con la dialettica. Con un cuore mite, trasformato dalla preghiera incessante, i discepoli potranno affrontare persone ostili all’espansione del Regno. Non soccomberanno davanti a loro, ma trasformeranno le difficoltà in momento opportuno per la testimonianza. Proprio la non accoglienza e la persecuzione diventeranno, infatti, kairos, momento opportuno per testimoniare le grandi opere compiute dal Signore (21,13).
Luca chiede agli inviati di non portare nulla, rinunciando ad ogni forma di possesso e protezione (v. 4). Partire senza ciò che è necessario è una testimonianza di totale dipendenza dalla provvidenza del Padre (cfr. 12,30) nella consapevolezza che tutto perde valore dinnanzi all’irrompere del regno di Dio (12,30-31). L’unico tesoro è la nostra vita afferrata dal Cristo e trasformata in estensione della sua stessa umanità.
L’annuncio crea, infine, una distinzione tra chi accoglie e chi rifiuta (vv. 9. 11). Per chi non accoglie gli inviati di Gesù, l’avvicinarsi del Regno diviene giudizio di condanna (v. 11). Per chi invece accoglie gli inviati, l’avvento del Regno porterà il dono della pace, la presenza stessa di Dio. Accogliendo gli inviati, «i figli della pace» accolgono, infatti, Gesù e Colui che lo ha mandato (v. 16). La loro casa diverrà luogo di manifestazione della presenza del Regno, nell’annuncio, nelle guarigioni e nella liberazione da ogni forma di male (vv. 8-9).
Chiediamoci: come vivo il mio essere discepolo missionario?