Moscati: medico, Santo e meridionalista
Il 12 aprile del 1927, martedì santo, muore Giuseppe Moscati: il Medico Santo di Napoli. Moscati si spegne a soli 46 anni, circostanza favorita dai lunghi affaticamenti dovuti alla sua inarrestabile opera di medico sempre pronto a soccorrere e guarire.
Nato a Benevento, suo padre Francesco ha origini a Santa Lucia di Serino (Av). In Irpinia il giovane Giuseppe torna spesso per le vacanze insieme alla famiglia che nel frattempo si è trasferita nella città sannita. Quando si spegne, Il Mattino del 15-16 aprile scrive che “intorno alla salma di Giuseppe Moscati si è raccolta reverente tutta la cittadinanza, rappresentata in ogni sua classe, dalla più umile alla più eletta. Poche volte Napoli ha assistito a uno spettacolo così imponente nella sua infinita tristezza e che sta a testimoniare quanto affetto, quanta stima ed ammirazione avesse raccolto l’Uomo che seppe fare della sua professione un nobilissimo apostolato”. Nel 1927 ha già raggiunto l’apice della carriera: libero docente in Chimica Fisiologica, libero docente in Clinica Medica, Socio della Reale Accademia Medico-chirurgica, direttore dell’Istituto di Anatomia Patologica, autore di oltre trentadue pubblicazioni scientifiche.
Nel 1917 rinuncia alla Cattedra di Chimica fisiologica nella Regia Università “Federico II” di Napoli per dedicarsi totalmente al lavoro in corsia nell’Ospedale degli Incurabili dove nel 1919 diventa primario (Direttore della III Sala uomini). Moscati riunisce in un’unica storia più volti : è un uomo di profonda fede e carità; un insigne clinico (l’unico che diagnostica al celebre tenore Enrico Caruso il male che lo affigge); è un maestro premuroso di medicina e di umanità. A testimonianza del suo grande acume nelle diagnosi il prof. Felice D’Onofrio scrive che in Moscati “è inconfondibile lo stile della vecchia Scuola Medica Napo-letana, di cui si osservano ancora tracce nelle nostre cliniche e nei nostri ospedali. La medicina di allora era, per così dire, artigianale; il medico con gli scarsi sussidi diagnostici a disposizione si affinava in una semeiotica che diveniva quasi una sua personale abilità”. A 81 anni dalla morte, il prof. Moscati continua ad essere invocato ed amato come un santo popolarissimo. Di lui si ricorda la totale abnegazione verso i poveri al cui capezzale corre per curare e dare sollievo.
Non prende soldi; il più delle volte dona egli stesso il necessario per comprare medicine e cibo.
Di famiglia benestante, figlio di un alto magistrato e di una nobildonna, diventa così l’amico delle classi più disagiate. E’ questo il tempo dei lazzari descritti da Matilde Serao, della povertà assoluta in cui versa il popolo minuto che tanto colore ha dato alla tradizione partenopea. Il ventre di Napoli, dove non filtra mai il sole, è il teatro di piccoli e grandi drammi: povertà, epidemie, promiscuità, violenza. Moscati inserisce la propria storia in quelle di tanti miserabili che ricorrono a lui.
Non si limita ad attenderli alla porta della propria abitazione in Via Cisterna dell’olio, alle spalle della Chiesa del Gesù Nuovo, fa di più: li cerca nei vicoli bui e nei bassi, li segue e li soccorre.
Il Medico Santo riesce a passare con facilità estrema dalla cattedra e dal tavolo di laboratorio dove si dedica alla ricerca scientifica alla nudità sconvolgente dei corpi sofferenti.
Ciò che colpisce maggiormente, dicono i suoi allievi, è la grande dolcezza e disponibilità nell’insegnare la scienza medica, sicuro di una missione intellettuale e pedagogica ben precisa. In una lettera al Prof. Francesco Pentimalli scrive “Ho creduto che tutti i giovani meritevoli, avviatisi […] alla via della medicina nobilissima, avessero il diritto a perfezionarsi, leggendo in un libro che non fu stampato in caratteri neri su bianco, ma che ha per copertura i letti ospedalieri e le sale di laboratorio, e per contenuto la dolorante carne degli uomini e il materiale scientifico, libro che deve esser letto con infinito amore e grande sacrificio per il prossimo.
Ho pensato che fosse debito di coscienza istruire i giovani, aborrendo dall’andazzo di tenere misteriosa gelosamente il frutto della propria esperienza, ma rivelarlo a loro”.
La particolare aurea che la sua persona emana è ben descritta dal prof. Tesauro il quale testimonia che “l’affetto e la devozione che avevo per lui vivo si sono andati cambiando in un sentimento diverso, pro-fondo e sereno, che non riesco a classificare.
Qualche cosa come la devozione ad un Santo, ad un Essere superiore…
Nel sentimento che mi lega alla sua memoria, oggi il dolore non c’entra più: è una religione forte e serena, a cui mi sento at-taccato ogni giorno di più”.
La profonda fede si accompagna all’eco della passione civile per il Mezzogiorno e la città di Napoli. In più occasioni interviene contro la speculazione edilizia che rischia di sconvolgere la bellezza della città. Mo-scati è molto duro: “Non il terremoto, non il Vesuvio, né il cataclisma distruggeranno mai Napoli, ma i napoletani.
Quel poco residuato intatto delle incantevoli pendici e dei colli, alla fobia costruttrice dei mercanti, scomparirà tra breve…sopraelevare grattacieli, innalzare sui culmini delle colline, demolire parchi i anno- si per annidarvi caserme…E Napoli bella muore; soffocata da macerie di case”.
Il Santo dimostra di avere una sensibilità e un ardore degni dei più famosi meridionalisti. Ama profondamente la propria città e la sua identità; non accetta che possano essere deturpate dai piani regolatori che aiutano i “pescicani” e i privilegi “dei ricchi di situarsi una casa e un belvedere in un punto ameno…”.
Di straordinaria attualità anche l’analisi intorno al problema dei trasporti.
Moscati conosce le capitali europee e sa bene che la questione edilizia è legata a quella della viabilità che tra la metropoli partenopea e la provincia manca totalmente.
Impegno civile, scienza e mistica fanno di Moscati una figura di non comune bellezza e penetrante fascino.
Sulla sua tomba il flusso dei devoti non si è mai interrotto come i bisogni di questo spicchio di terra e dei suoi abitanti che il Medico Santo ha saputo illuminare con la sua presenza.
