«Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,22)

La liturgia odierna ci sollecita a compiere un esodo, dalla religiosità del “noi” all’apertura universale. La tendenza ad appropriarci di Dio creando muri di divisioni tra noi e loro è, infatti, parte del nostro DNA. Ma Dio non si lascia possedere.

La prima lettura ci introduce nella prospettiva inclusiva di Dio. Sia ebrei che gentili sono un’offerta gradita al Signore, inviati insieme a proclamare la Sua gloria al mondo. Il vangelo sfida la nostra mentalità prospettando una porta aperta che potrebbe chiudersi di fronte a chi è considerato giusto, e una chiusa che improvvisamente si spalanca per ammettere chi è ritenuto indegno di vivere nella comunione con Dio. La seconda lettura mostra come solo la perseveranza nella prova ― la lotta per entrare nella porta stretta descritta nel vangelo ― può condurre all’ingresso nel regno.

Il vangelo, su cui ci soffermiamo, si apre con una domanda: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (v. 22). Gesù non risponde direttamente ma trasforma la domanda in opportunità d’insegnamento. Utilizza per questo un’immagine a lui cara: la sala del banchetto e la porta che ne permette l’ingresso. È una porta stretta e l’entrata richiede uno sforzo perseverante. A una comunità che oscilla tra facili entusiasmi e successivi abbandoni, Gesù ricorda ancora una volta che occorre «prendere la propria croce ogni giorno» (9,23), per non essere come coloro che «nel tempo della prova vengono meno» (8,13).

L’immagine della porta stretta rimanda, ancora, all’architettura delle sinagoghe dove accanto ad una porta principale, larga, destinata alle persone altolocate, vi era una porta secondaria, stretta, per coloro che vivevano ai margini della società. Entrare dalla porta stretta potrebbe dunque indicare umiltà e solidarietà con chi è “scartato”: donne, mendicanti, disabili, pagani.

Luca aggiunge un particolare inquietante: la porta non rimarrà aperta per sempre. Per questo, la domanda iniziale deve essere modificata: il problema, infatti, non è quanti si salveranno ma come essere incluso. Il racconto che segue (vv. 25-28) precisa che l’ingresso non sarà garantito dalla familiarità con Gesù ma dall’operare la giustizia (v. 7) perché il regno appartiene ai giusti di ogni generazione. Se la triade Abramo, Isacco, Giacobbe è rappresentativa del popolo dell’alleanza; se i profeti raffigurano i perseguitati per la fede e la giustizia; la moltitudine proveniente dai quattro punti cardinali indica l’invasione degli ultimi.

Chi dunque si salverà? Gesù spiega che non è un problema di numero ma di cuore: si salveranno tutti coloro che abbracceranno la logica della croce, tutti coloro che seguendo il Signore diverranno simili a Lui. Il Padre spalancherà per loro le porte del regno, perché riconoscerà nei loro volti i lineamenti del Figlio. Ognuno potrà essere escluso e ognuno potrà essere incluso. Dinanzi alla parola profetica di Gesù non conta l’appartenenza legale alla sinagoga o alla chiesa: ciò che conta è la conversione, lo sforzo perseverante di vivere come operatori di giustizia. L’appello ultimo, dunque, è al lettore perché agisca ora per non correre il rischio di negarsi l’ingresso nella vita.

Se la domanda è, dunque, sbagliata, la risposta è sorprendente: saranno salvi tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, popolo costituito di giudei e gentili, di poveri, di donne, di scartati e di chiunque lotta perseverando nella sequela.

Chiediamoci: cosa rappresenta la “porta stretta” nella mia vita?