Sport
stampa

Quando il calcio passa in secondo piano

Il caso di Bonucci fa riflettere su ciò che conta veramente.

Quando il calcio passa in secondo piano

Qualche giorno fa, nel ritiro di Coverciano, abbiamo assistito a qualcosa di inconsueto, a un momento in cui la vita, per qualche minuto, ha avuto nettamente la meglio su un gol o un passaggio sbagliato. Ci riferiamo alle parole di Leonardo Bonucci, alfiere della difesa juventina ed azzurra, che alla vigilia di Italia-Spagna delle qualificazioni mondiali si è commosso parlando delle sue vicende familiari e della malattia di suo figlio. Un momento in cui la commozione tra i presenti in sala stampa ha preso il sopravvento e che ha fatto riflettere un po’ tutti sulle priorità da dare alla nostra esistenza.

In un mondo ormai cinico e dominato dal business come il nostro calcio, fermarsi un attimo per capire se ha senso tutto questo accanirsi attorno alle vicende legate sempre e unicamente al rettangolo di gioco, senza mai andare oltre quell’orizzonte. “Quello che ho passato negli ultimi due mesi mi ha dato una grosso forza”, ha detto Bonucci, ringraziando la sua famiglia per essere stata una cosa sola, per aver lottato insieme. Come per incanto in quella sala erano sparite le solite stucchevoli polemiche, i moduli da applicare in campo, i proclami della vigilia: tutto era tornato a una dimensione più umana accettabile, con il difensore bianconero che sentenziava come momenti simili “ti fanno vedere la reale importanza delle cose”. Con una stoccata finale, le cui parole meriterebbero di essere appese sulla porta di ciascuno degli spogliatoi di serie A: “Il calcio è importante – ha infatti concluso Bonucci -, ma alcune critiche o discussioni, rimproveri o mugugni mi fanno capire che c’è sempre da migliorare ma quello che ti accade nella vita è più importante di un passaggio sbagliato. Quando stai bene con la testa e con il cuore puoi affrontare qualsiasi cosa”.

In fondo è una lezione che può rendere più forte un atleta, quella di non avvelenarsi l’esistenza di fronte a situazioni che, rispetto alle vere prove che poi la vita ci pone, presentandoci il conto, sono davvero piccola cosa. A volte il calcio si ferma a riflettere quindi, anche se le occasioni sono sempre più rare: ricordiamo anni fa, quando Cesare Prandelli ebbe il coraggio di dimettersi da allenatore, rinunciando a un ingaggio da favola, pur di stare accanto alla moglie gravemente malata. Questione di priorità si diceva. Come quando il mondo del calcio si accorse del terribile morbo della Sla, anche grazia all’eroico esempio prima di Signorini e poi di Stefano Borgonovo, che dedicò addirittura la parte finale della sua vita a raccogliere fondi contro la malattia, diventando un simbolo amato e stimato da tutti i colleghi. Così, mentre una volta non accadeva mai (famoso fu quel derby Roma-Lazio, quando fu colpito a morte da un razzo il povero Paparelli eppure si giocò lo stesso), complice una logica mercantile legata anche alla schedina che dettava legge o a ragioni di ordine pubblico (come nella tragica notte dell’Heysel: almeno quella Coppa Campioni non andava assegnata, invece risulta sempre negli albi d’oro) oggi il calcio ha avuto il coraggio di fermarsi per fatti gravi come la morte della giovane promessa Morosini o quella dell’ispettore di polizia Raciti, mentre anche per episodi di razzismo si sta lentamente prendendo coscienza che una partita non necessariamente deve continuare a tutti i costi: se ci sono cause gravi per cui è necessario dare un segnale forte di civiltà, il calcio non ha solo il diritto, ma il dovere di fermarsi a riflettere.

Fonte: Sir
Quando il calcio passa in secondo piano
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento