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Pasquale Grandinetti, il cuore del San Vito da 32 anni

L'uomo che per oltre tre decenni ha curato lo straordinario manto erboso del tempio del calcio cosentino ora lascia. E a PdV affida i ricordi di una vita intera.

Pasquale Grandinetti, il cuore del San Vito da 32 anni

Il San Vito è il cuore, il “Tempio” del calcio cosentino. E' in quel posto che si svolgono le partite del Cosenza Calcio e dove i tifosi praticano la loro passione per i colori rossoblù. Il manto erboso dello stadio, si sa, è di alti livelli. Qualsiasi squadra di ogni regione, una volta transitata ai piedi della Sila, ha potuto constatare tale efficienza. Dietro a tutto questo c’è una persona. Lui è Pasquale Grandinetti. Per 32 anni ha lavorato con enorme professionalità temprata, ma soprattutto passione e voglia di fare bene, nel mantenere e migliorare il terreno di gioco. Il suo lavoro è stato fondamentale per tutti i mister e giocatori che dal lontano 1984 (anno in cui Pasquale iniziò a lavorare allo stadio) erano al servizio del Cosenza Calcio. Non è stato soltanto un giardiniere qualunque, ma una persona gentile e disponibile ad aiutare il Cosenza in ogni occasione. Utilizziamo il verbo passato “è stato” perché per Pasquale questa annata rappresenta il termine della sua carriera lavorativa. Lui a malincuore ha lasciato il suo posto, quel posto portato avanti con grande impegno, fatica e felicità. Felicità, certo, perché fin da bambino è stato un accanito tifoso dei Lupi e questo lavoro ha rappresentato il massimo. Senza dubbio il dispiacere c’è ma, Pasquale è convito di una cosa: “Nella vita c’è si un inizio, ma c’è sempre una fine”.

Cosa hanno significato per lei questi 32 anni a tinte rossoblù?

E’ stato un sogno perché fin da ragazzino ero tifoso del Cosenza e quando ebbi l’occasione l’afferrai subito. Sono stato dipendente comunale, ma si può dire che ero dipendente del Cosenza perché stavo sempre in contatto con loro tutti i giorni.

Come si svolge al meglio il suo lavoro?

Ci vuole, principalmente, passione altrimenti questo lavoro non lo fai. Si deve avere sempre il materiale a disposizione, tipo semi, concime, antiparassitari. Di lunedì, dopo ogni partita, bisogna “rizollare” il campo. Con una zappetta si vanno a riposizionare tutte le zolle accumulatesi durante la gara.

Quando ha iniziato?

Ho incominciato durante il cambio di società con l’era Pitrillo-Muiesan e con Vincenzo Morelli, il dottore Nunziato, Tonino Covino e il segretario Arcuri.

Ci racconta qualche aneddoto?

Ne ho vissuti tanti. Ricordo quando portavo mio figlio Giuseppe al lavoro e c’era Bergamini e gli altri giocatori che aspettavano Giuseppe perché lo vestivano da portiere e stavano ore ed ore a giocare con lui. Un altro, quando sono andato a Milano ho visto Paolo Tramezzani all’aeroporto.

Cosa provava quando vedeva, nelle partite importanti, contro Reggina, Catanzaro, lo stadio gremito?

Naturalmente quando si vinceva era sempre una gioia. Una volta, contro Reggina o Pescara, c’era più passione a differenza di oggi. C’era sempre lo sfottò sportivo, con noi in campo e i tifosi avversari sugli spalti e ti divertivi a vederli imbestialiti.

Di momenti brutti ce ne sono stati?

Una volta contro il Lecce. Siccome dovevo chiudere le porte e, quindi, mandare prima le persone fuori. Ricordo che avevano buttati i lacrimogeni nel campo e sugli spalti. Mi dovetti fermare perché non vedevo nulla e iniziai a piangere.

Com’erano i rapporti con i giornalisti?

Stupendi. Loro in un certo senso mi tutelavano. Parlavano sempre bene di me ovunque. Ero molto amico di Alfredo Pedullà che allora era il responsabile della Serie B del Corriere dello Sport-Stadio e alloggiava in un hotel vicino al mio paese. Dato che sapeva dove abitavo, tutte le sere mi aspettava perché gli dessi il passaggio. Si facevano, addirittura, l’una o le due di notte. Ricordo una sera, dopo una partita contro il Cagliari, vinta per 1-0 con rete di Giampaolo, che nevicava forte. Mi chiese se era possibile raggiungere l’hotel e gli dissi di si. Arrivati su via Bendicenti, vicino Morelli (frazione di Trenta) ci siamo fermati e, sotto un faro, abbiamo montato le catene. Ottimi rapporti anche con altri giornalisti come Franco Segreto, Alfredo Nardi, Osvaldo Morisco, Vittorio Scarpelli, Pippo Gatto, Attilio Sabato, Gianluca Pasqua, Valter Leone, Antonio Clausi e tanti altri.

Invece i rapporti con gli allenatori?

Da quando ho iniziato a lavorare ho conosciuto mister come Montefusco, Liguori che aveva portato a Cosenza Alberto Urban, poi Di Marzio, Giorgi, Simoni, Reja, di nuovo Di Marzio, Zaccheroni, De Biasi, De Vecchi, Mondonico, Scoglio. Compreso Di Marzio con cui ho vissuto tanti anni assieme, Simoni, Giorgi, Zaccheroni, Mondonico erano veramente dei signori, persone davvero squisite.

Allenatori che pretendevano troppo dal campo?

Ce ne sono stati un sacco di litigi. Con gli allenatori vi erano sempre tante discussioni, ma dopo la fine del campionato rimanevamo tutti amici. Ricordo nel 2010 in una partita col Gubbio, non so se era finale di Coppa o Poule Scudetto, venne Simoni e chiese subito di me. Questo sta a significare dei buoni rapporti che ho lasciato con queste persone.

Con i giocatori invece?

Maggiormente ho legato con i giocatori che sono rimasti a Cosenza o che la visitano di continuo come Marulla, Marino, Zunico, Napolitano, De Rosa. Vi erano tanti come Cardinale, che quando andavano in trasferta, venivano a lasciare a casa mia le loro macchine e i loro cani. Mi davano anche le chiavi. Per dire che si fidavano tanto di me. Anche Agliardi, attuale portiere del Cesena. Infatti il nostro difensore Antonio Magli è cognato con Agliardi. Ricordo inoltre Lentini che per me rimane un grande professionista. Quando Peppuccio (l’allora dirigente Luca Pagliuso) mi disse che in settimana arriva Lentini, scoppiai a ridere perché era al Milan e aveva fatto i Mondiali. Non ci credevo quando lo vidi. Lentini era come un Bronzo di Riace. Era un lavoratore, l’ultimo ad uscire dagli allenamenti. Era il vero capitano, con la C maiuscola. Il Cosenza, comunque ha sempre avuto giocatori di un certo spessore nazionale come Stefano Fiore. Vi erano annate invece in cui passavano da qui dai 50 ai 60 giocatori. Devo dire che vivevo con loro. Infine sono rimasto male per una cosa. Non ho potuto incontrare a Carmelo Imbriani prima della sua morte. Infatti lui venne qualche anno fa, quando era mister del Benevento, a giocare a Catanzaro e mi chiese se potevano usufruire del SanVitino. Accettai all’istante. Mi voleva salutare, ma avevo organizzato un pullman per andare da Padre Pio. Un’altra volta, quando lui era in ritiro a San Giovanni in Fiore ed eravamo rimasti che un giorno sarei salito in Sila per salutarlo. Però si sentì male. All’Ospedale di Cosenza, dopo una tac, gli hanno trovato la leucemia.

Il Centenario…

Chiudere la mia carriera con il Centenario e vincere una Coppa Italia, per me è stato il massimo. Ho visto la Serie B e non nascondo che ci sono stati momenti brutti, per esempio con l’Fc Cosenza. Infatti nel 2003, quando fallì la società ricordo che la squadra era in ritiro a Lorica, c’era anche mio figlio nelle vesti di magazziniere. All’una di notte ricevetti una sua chiamata per dirmi del fallimento. La rosa era forte con giocatori come Palmieri, Guidoni, Cardinale con mister De Rosa e Ciccio Marino direttore sportivo. Giuseppe, al telefono, mi disse che i giocatori, appresa la notizia, iniziarono a piangere. Allora decisi di andare personalmente a Lorica. I giocatori erano tutti fuori a disperarsi.

Cosa porterà e ricorderà sempre da questi 32 anni?

Ho conosciuto tanti amici, in tutt’Italia. Ho fatto questo lavoro, che ho sempre desiderato. In 32 anni, lo giuro, non ho perso nemmeno una partita del Cosenza. Ho avuto 350 giorni di ferie arretrate. Per amore del Cosenza, ho quasi “trascurato” la famiglia. In ritiro ero con loro dalla mattina alla sera, tornavo a casa sempre sul tardi. Ricorderò sempre Giovanni Arlotta e Armando De Pasquale, i miei maestri. De Pasquale era il geometra e Arlotta era più manuale. Insieme abbiamo edificato il campo da gioco a Camigliatello dove tutt’ora vengono in ritiro squadre come Catania e Messina. Ho fatto, insieme a Franco Barca (un osservatore che ha collaborato anche con i Lupi), anche il campo di Lorica dove il Cosenza andrà a svolgere il suo ritiro (dal 20 luglio) quest’estate.

Una partita che porterà sempre dentro?

Quella contro la Salernitana quando vincemmo all’ultimo secondo con gol di Riccardo Zampagna.

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