Commento al Vangelo
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Il pane della vita e il nostro rimanere in lui

Parole chiave: vangelo (27), agensir (678)
Il pane della vita e il nostro rimanere in lui

Gesù passa da “io” a “la mia carne”, segno che questa indica la sua umanità offerta fino alla morte. Un discorso realistico, non metaforico, che spiega l’obiezione dei Giudei. Così la samaritana pensava all’acqua del pozzo e Nicodemo che bisognava rientrare nel seno della madre. Anche l’Eucaristia non è una metafora; tutt’altro. Quando mangiamo il pane, mangiamo la carne; quando beviamo il vino, beviamo il sangue, partecipando all’umanità di Gesù, alla sua vita donata. È un mangiare che equivale all’unione profonda tra due persone.
La vita del mondo è la vita della creazione e il senso della storia, entrambe ferite ma amate da Dio. Anche la carne è segno della fragilità e di un mondo destinato alla morte, ma che in Gesù diventa luogo e strumento di salvezza per tutti. L’obiezione dei Giudei è opposizione al discorso del Maestro perché veramente c’è sproporzione tra l’umanità di Gesù - il suo essere veramente uomo - e l’affermazione di essere Lui il cibo per la vita eterna. Gesù non fa sconti; anzi, alla carne aggiunge l’invito a bere il suo sangue, cosa assolutamente proibita dalla legge giudaica, perché il sangue è la vita, semplicemente. Gesù invece lega la condizione di poter avere la vita proprio al bere il calice del suo sangue.
In parole povere possiamo dire che siamo assolutamente insufficienti a noi stessi e senza vita, se non veniamo nutriti da Dio stesso. Come non si può separare la carne dal sangue, pena la morte, così noi non possiamo essere separati da Dio. Il modello della nostra comunione con Lui è Gesù che dice di sé: “Io vivo per il Padre”. Se la vita di Gesù è la vita del Padre in Lui, anche la nostra vita è “vivere di Lui e per Lui”. Sono parole da cime di montagna, vertici dell’anima; difficili da far nostre specialmente in questi giorni di agosto, tempo di vacanze, di viaggi, di esperienze nuove, di divertimenti, ma anche di scompiglio della percezione abituale della realtà.
Anche a ferragosto un pensiero certo ci può abitare. Noi che siamo povera carne mortale, creata al sesto giorno, ultimi fra le creature, dinanzi all’offerta del Corpo e del Sangue di Cristo, segni veri del suo amore, possiamo convincerci che il nostro destino è il settimo giorno, quello della festa di Dio, la vita eterna, tempo di comunione col Padre e con i fratelli.

Fonte: Sir
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