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Un ricordo di don Giuseppe Cacciami

“Più in alto più lontano - Don Giuseppe Cacciami sacerdote, educatore, giornalista”. Nel quarto anniversario della morte, un libro ricorda la figura di “un gigante” della storia della Federazione italiana settimanali cattolici. Presidente dal 1980 al 1986, Cacciami ha rappresentato e ancor oggi rappresenta un punto-luce che illumina un percorso tra passato e futuro. Attualissima la sua lezione di fede, di umanità, di acutissima professionalità giornalistica.

Un ricordo di don Giuseppe Cacciami

A noi “pivelli”, don Giuseppe Cacciami incuteva soggezione. Non ho timore di ammetterlo, neppure oggi, a distanza di tanto tempo. Sarà stato per la sua stazza. Sarà stato per il suo modo di porgersi, la sua “verve”, il suo eloquio, ma quel prete-giornalista mi ha sempre intimorito e non poco affascinato. Don Cacciami, un gigante per noi della Fisc che nei primi anni Novanta ci affacciavamo a questo mondo che allora era ancora abitato in gran parte da sacerdoti. Don Cacciami, uomo straordinario. Uno a cui guardare per imparare. Trasmetteva una passione contagiosa. Posso dire di essere uno di quei tanti che ha “sanamente infettato”. Per questo lo ringrazio. E con lui ringrazio i tanti altri preti, e anche laici, che ci hanno lasciato in eredità la Fisc, questa Federazione che è insieme una storia di Chiesa, di rappresentanza istituzionale, di amicizie e di esperienze forti, uniche, irripetibili.

Negli avvenimenti storici della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), iniziati nel 1966, don Giuseppe Cacciami ha rappresentato e ancor oggi rappresenta un punto-luce che illumina un percorso tra passato e futuro. Presidente dal 1980 al 1986 ha varcato la soglia dei sei anni con la sua lezione di fede, di umanità, di acutissima professionalità giornalistica. Don Giuseppe amava molto il verbo “vibrare”. Lo viveva così profondamente e responsabilmente che ogni suo intervento, ogni sua presenza, diventava occasione per un sussulto interiore in chi lo ascoltava. Un incontro con lui non era mai indifferente. Trasmetteva una sorta di scossa, di presa di coscienza. Anche lui era di certo “santamente inquieto”. La sua comunicazione, che correva nel sorriso, nella parola ferma, nello spillo pungente, nasceva in quel dialogo silenzioso e profondo che aveva con Dio. Aveva una ricchezza intellettuale e spirituale che trasmetteva nell’arte di scrivere e di parlare con un linguaggio incisivo, sobrio, pungente (gli “spilli”, appunto), innovativo e alternativo. Non da prete, diciamolo, ma da giornalista di razza sopraffina.

Don Giuseppe aveva un attaccamento per il territorio in cui viveva, in particolare Verbania. Nutriva anche una passione per la gente di cui condivideva le fatiche e le speranze e, in particolare, per i giovani che accompagnava e stimolava nella crescita cristiana e nelle scelte della vita personale e pubblica. Partiva dalla concretezza del territorio della diocesi di Novara per avventurarsi nella concretezza di altri territori più vasti come la Federazione italiana settimanali cattolici, la Conferenza episcopale italiana, il Sir, Avvenire, l’Unione cattolica internazionale della stampa, le iniziative europee. Tutti territori con la medesima intensità, quella di chi sa di avere trovato un tesoro che non può tenere per sé. Nulla per se stesso, né il tesoro né i talenti ricevuti, che don Giuseppe ha reso di certo moltiplicati a dismisura. Fare memoria di don Cacciami, anche con un libro, significa assumere la lezione di chi ha saputo unire, senza mai confondere, l’essere prete all’essere educatore e all’essere giornalista. È proprio da questi suoi tre “essere” che i laici di allora, e noi di oggi, da lui ritenuti corresponsabili e non semplici collaboratori, hanno tratto e possono trarre motivi e stimoli per guardare più in alto e più lontano. Nella Rete e sulle strade del mondo.

Fonte: Sir
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